Il missionario umbertidese don Leonardo Giannelli, vera e propria “icona” dei giovani, in questi giorni è ad Umbertide, dove si tratterrà per una ventina di giorni per cercare dei finanziamenti nel Nord del Paese dove ha molti amici interessati al suo progetto con i katamarani. Abbiamo colto l’occasione per parlare con lui della sua missione in terra boliviana. È arrivata la raccolta cibo che era stata promossa in diocesi? “Il container – risponde – è già a La Paz, e lo avremo nei magazzini di Santiago de Huata e Pena a metà agosto; ci sono dei problemi di sdoganamento che vanno sempre affrontati. È la cosa più bella che la diocesi fa per noi. Voi ci mandate un valore in cibo che equivale a circa 50 mila dollari, con cui riusciamo a fare tutte le cose che già sapete”.
È vero che avete realizzato due katamarani? E perché?
“Tre anni fa, tramite l’aiuto di due ingegneri nautici milanesi, abbiamo avviato questo progetto di costruzione di barche da diporto nel lago Titikaka per iniziare la navigazione a vela. Nel 2013 abbiamo varato il primo katamarano e nel maggio 2014 il secondo: barche di 9 metri, con una velatura di oltre 50 mq, che permettono di navigare sul lago a una velocità di 10-12 nodi. Tutto questo per poterci autofinanziare, sfruttando una forma di turismo eco-sostenibile, che porta i turisti a vedere le meraviglie del lago Titikaka”.
Quali sono i più gravi problemi che rileva fra la gente?
“Il narcotraffico, la prostituzione e la delinquenza minorile sono grandissimi problemi che stanno coinvolgendo Bolivia, Perù, Messico… Nelle periferie delle grandi città boliviane non si vive, si sopravvive. A El Alto (che è la periferia di La Paz), che ha un milione e mezzo di abitanti, ogni giorno scompaiono 10 minori, 10 ragazzine sotto i 12 anni; ci sono vie intere che vivono di prostituzione e oltre 250 bande di bambini di strada. Sono attratti tantissimo da questi guadagni facili, e le famiglie non riescono ad arginare questa situazione. Tutti i ragazzi giovani, poi, scappano dall’altipiano – dove viviamo noi – per andare nella giungla e coltivare coca, perché vedono i loro amici arricchirsi. Avevo un oratorio di 600 bambini, ma sono rimasti solo in 200. Tutti scappano per andare a coltivare la foglia di coca”.
Invece, qual è la cosa più bella che ci può insegnare la gente boliviana?
“Sicuramente la dimensione comunitaria, che noi europei abbiamo perso. La parola ‘comunità’ da voi sta diventando incomprensibile. Nel mondo boliviano, delle campagne soprattutto, non è la persona ma la tribù, il villaggio, il gruppo, che fa le cose. Se c’è da fare una strada che è un bene per la comunità, la gente si riunisce, lascia le sue cose e fa quella strada. Non è il Governo o il Municipio o la ditta ‘X’ a realizzarla!”.