Spesso ci accade di essere sommersi da fatti che si accavallano e si affastellano in modo ossessivo, fino a farti perdere il normale ritmo del respiro.
Nei giorni trascorsi, tra le notizie di cronaca nera di casa nostra e quelle che vengono dall’estero, ci siamo sentiti interpellati; è venuto spontaneo anche a noi interrogarci soprattutto sul delitto atroce di un uomo che uccide con un coltello la moglie e i due figlioletti una di 5 anni e uno di 20 mesi. Poi è andato alla partita e al ritorno si è fatto una pizza e ha chiamato i carabinieri inventando la storia di una rapina. La povera moglie, dopo aver avuto un momento di intimità con lui, alla prima coltellata gli grida: “Cosa stai facendo, perché?”. Sono le sue ultime parole, poi solo grida disperate sepolte dal silenzio.
Già, perché, com’ è possibile? Quest’uomo, messo alle strette ha confessato. Così ha raccontato in tv il comandante: “quando gli è stato fatto il nome della donna, per la quale nutriva una forte passione, ha avuto un momento di silenzio, ha preso consapevolezza dell’abnormità di quello che aveva fatto, si è preso la testa tra le mani e ha detto: “Sì sono stato io. Ora voglio il massimo della pena”. Su un fatto del genere si possono avere molte diverse reazioni.
Alcuni dicono: “Non ci pensiamo, parliamo di calcio”, altri “Ci sono sempre stati dei pazzi”, altri pensano alla presenza di forze diaboliche occulte. I credenti pregano per le vittime e invocano pietà e misericordia. Oltre alla sofferenza ti passa addosso come un brivido di paura al pensiero che possa succedere anche a te uno smarrimento e un momento di follia, visto che, quando si domanda ai parenti o vicini se conoscevano quella persona che ha commesso il delitto, si ha quasi sempre la risposta: “Era una persona normale, tranquilla, gentile, niente faceva pensare a una cosa simile”.
E tuttavia mi pare che sulla frase della confessione: “Ora voglio la pena…” non è inutile fare una riflessione. Quest’uomo ha una volontà, si identifica nella volontà, nel suo io voglio. Anche nella confessione dice “ora io voglio”. Tutto sembra che debba dipendere da lui. È la volontà che domina la vita di questa persona e la riflessione che mi pare venga fuori è che sia proprio la tentazione della volontà individuale sganciata dalla relazione con gli altri e con qualcosa di altro che ti sovrasta che stia il pericolo di azioni al di là del bene e del male. È bene quello che io voglio in questo momento. È male da eliminare quello che si oppone alla mia volontà. Qualche filosofo ha parlato della “volontà di potenza”.
La riflessione mi porta a dire che la nostra cultura, quella che un nostro lettore chiama “il pensiero unico dominante” è che io decido, e nessun altro al mio posto. È nota la frase del femminismo radicale: “il corpo è mio e ne faccio quello che voglio”.
In questi giorni si discute di nuove forme di famiglia e si dice che è necessario riscrivere la grammatica delle relazioni umane. È certamente giusto aggiornare le leggi, rinnovare lo stile di vita, ricordare che “il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”. Ma rimangono il sabato come giorno santo da rispettare e l’uomo con la sua dignità e la sua sacralità, così come permangono integri e necessari per la vita e il futuro dell’umanità quelle famose dieci parole che noi chiamiamo il Decalogo, al centro del quale la quinta parola è “Non uccidere”. Una delle più terribili manipolazioni della verità è quando l’“io voglio” moderno del pensiero secolarizzato viene arbitrariamente identificato con “Dio lo vuole”. Un Dio costruito come un fantoccio, un idolo, un fantasma usato per mascherare la propria arroganza. È ciò che avviene in questi giorni in Siria, in Iraq e altrove.
Accordare la propria volontà con la ricerca del bene illuminata da una coscienza pura è la sola via per non cadere nel volontarismo arbitrario e violento nella vita privata e in quella pubblica. E lasciamo che sia il dito di Dio a disegnare nel cuore degli uomini le linee maestre della grammatica delle relazioni umane.