Dopo un anno e mezzo alla guida della diocesi, mons. Ernesto Vecchi, vescovo amministratore apostolico, torna nella sua Bologna. Un impegno importante, il suo, in una fase difficile per la diocesi alla quale ha lasciato la bella Nota pastorale “Ripartire da Cristo”.
Eccellenza, come ha vissuto questa fase del suo ministero episcopale?
“Ha completato quello che un po’ mi mancava, perché come vescovo ausiliare a Bologna ho avuto incarichi diversi. Qui ho fatto esperienza di un governo diretto di una diocesi, forte dell’esperienza maturata con grandi maestri come il card. Lercaro, il card. Poma e il card. Biffi. C’era un problema da risolvere, e io, che sono un operativo, ho preso subito la questione con molta serietà, in presa diretta con i superiori e con Papa Francesco che, all’inizio, è stato di grande aiuto e ha indicato la strada per poter uscire da questo momento di difficoltà”.
Da subito ha definito i ternani e gli umbri “gente di pasta buona”.
“È vero. Qui mi sono trovato bene, perché sono abituato ad avere un rapporto diretto con le persone, e ho trovato subito sintonia con la gente. Ho sentito questo atto di fiducia iniziale, che poi si è manifestato sempre più, anche facilitato dal mio carattere schietto per cui faccio spesso riferimento nei miei interventi alla vita concreta”.
Oggi, qual è la sua analisi riguardo alla situazione della diocesi?
“Sul piano amministrativo il problema c’era e l’abbiamo affrontato con chiarezza. Una persona da sola non può risolvere tutto, e per questo ho chiesto di poter usufruire di alcune collaborazioni dirette di alcuni tecnici con cui opero a Bologna. Hanno lavorato con me per fare chiarezza e risolvere i problemi. Prima, togliere le esposizioni bancarie. Abbiamo impiegato un anno e abbiamo risparmiato una piccola cifra che può essere utile per proseguire nel risanamento. La mia azione è stata soprattutto quella di eliminare le cause dei rischi; ora si deve proseguire con delle riforme strutturali, perché queste difficoltà si possono ripetere. È necessario aumentare il reddito, ridurre le spese anche del personale e di gestione di tutta la realtà che va rivisitata. Non tutto può essere sulle spalle della diocesi. Se si va avanti per la strada intrapresa, approvata dalla Santa Sede e in particolare dalla Congregazione per il clero, si potrà restituire il prestito e arrivare al pareggio di bilancio nel 2015-2016”.
Su questa vicenda quanto si è detto a proposito e quanto a sproposito?
“Di spropositi ne sono detti tanti. Sono state tante le lettere non firmate che ho ricevuto nelle quali, dimostrando una incosapevolezza ecclesiale fortissima, mi si chiedeva di rimuovere alcuni sacerdoti e collaboratori. Certo, anche il nuovo vescovo dovrà conoscere prima di decidere. Si tratta di togliere quella propensione a voler giudicare le cose dall’esterno. Non è solo portando divisioni ulteriori all’interno che si possono risolvere i problemi, bisogna collaborare. Il problema c’è tutto, ma non è la fine del mondo: se mettiamo in campo tutte le risorse che abbiamo, di collaborazione e di obbedienza al vescovo, tutto si risolve. Le comunità cristiane devono essere sensibilizzate al mantenimento della propria Chiesa, e questo sarà un compito di chi guiderà questa Chiesa. La parrocchia è un ente a sé e non s’identifica con la diocesi, c’è autonomia finanziaria e pastorale diversa, per cui ciascuno deve prendersi la responsabilità che gli compete. La sensibilizzazione amministrativa deve in qualche modo essere inculcata nella gente; sono i precetti fondamentali della Chiesa”.
Lei ha spesso trattato la questione dei laici e del ruolo dei cattolici nella società e nella politica.
“Nei tempi moderni si è imposta la divisione tra laici e cattolici, per cui i cattolici vanno a messa e gli altri fanno politica; se un cattolico fa politica, deve smettere di andare a messa, o non tenerne conto. Questo è sbagliatissimo, è un indirizzo che disorienta, e che è nato dal nostro movimento cattolico. Bisogna che il cattolico, in quanto tale, nelle realtà temporali si assuma le proprie responsabilità, sempre ispirandosi al Vangelo e facendone testimonianza”.
La gente ha apprezzato la sua sincerità, il suo modo di dialogare anche durante le omelie. Lei ha percepito questa vicinanza?
“Certo, ho visto tante persone cordiali nei tanti luoghi della diocesi che ho visitato, e per la verità, più ci si allontana dalla città, più si percepisce la ‘pasta buona’. C’è una partecipazione popolare che ho percepito e apprezzato molto”.
Cosa porterà con sé a Bologna?
“Porterò molti ricordi, che sono il segno di una vicinanza che ho recepito non solo da parte delle autorità ma anche di coloro che fanno attività pastorale. Mi sento legato definitivamente a questa Chiesa come vescovo soprattutto nella preghiera, e spero che occasioni d’incontro ci saranno ancora. Il rapporto diretto con questa Chiesa non si cancella, lo porto dentro. Ha configurato questi ultimi anni della mia vita episcopale e l’ha completata. Un rapporto che porterò nel cuore e nelle preghiere”.