La Voce anche dell’educazione

Con un certo imbarazzo riprendo il discorso della celebrazione del 60° de La Voce e del 30° di Umbria Radio, in quanto sembrerebbe che vogliamo per forza parlare di noi e metterci in mostra. Non è così. Ne vogliamo parlare perché ritengo che la cosa sia urgente. La gente non legge, non riflette, è impulsiva, è impaziente, si lascia impressionare da chi strilla; e in politica, ad esempio, se uno non strilla sembra che non abbia ragione o non sia capace di affrontare l’avversario (chiamato spesso il “nemico da eliminare”) con parole dure, offensive, ricorrendo all’ironia e al sarcasmo, per seminare sfiducia e disprezzo. Bisogna ritornare a leggere, a riflettere, a dare spazio alla mente prima della parola e dell’atto inconsulto. La persona che non ragiona si ritrova in balìa delle pulsioni, degli istinti, e, se va bene, rimane nella banale superficiale normalità del “così fan tutti” e, se va male, abbiamo omicidi, violenze, soprusi, droghe, comportamenti che definire pazzeschi è poco. Il papa Francesco non esiterebbe a definirli diabolici. In Nigeria si è arrivati alla tratta delle ragazze da vendere a uomini danarosi (ricordate il ratto delle Sabine di cui si vantavano i Romani?), in Afghanistan si usa la crocifissione dei cristiani accusati di delitti inesistenti come quello della blasfemia, nella vicina Toscana viene uccisa una giovane donna legata al palo come in croce. Potrebbe a lungo continuare l’elenco dei misfatti. Non è che con una semplice lettura di un buon libro e di un giornale affidabile tutto questo si elimini. Vogliamo solo dire che nel mondo, anche nel nostro mondo, piccolo mondo, circola lo spettro dell’ignoranza, dell’analfabetismo, dei messaggi pieni di falsità e carichi di veleno. Bisogna curare l’ecologia informativa, l’ecologia dei media. Non con la censura che non risulta mai sufficiente ed efficace, ma con la convinzione, la responsabilità. Dare fiato e sfogo e spinta e alimento alle passioni, sia pure alla passione mistica, come nei kamikaze islamici, è un errore e un peccato, un voler fare del male a sé e agli altri. Ogni persona ha bisogno di fermarsi, guardarsi allo specchio e domandarsi: “Chi sono, che cosa sono diventato, che mi sta succedendo?” E guardarsi attorno, cercando di scorgere se per caso non si trovi a camminare sull’orlo del precipizio. Questo vale anche per i popoli, le nazioni, le città, le comunità: si pensi all’Ucraina. Il discorso si muove entro la sfera dell’educazione, di cui è strumento essenziale la scuola. A questo proposito, in un recente incontro tra cattolici, un’insegnante ha ricordato come dopo vent’anni, incontrando qualche studente si sente ringraziare perché un giorno disse un frase che è rimasta un punto fermo nella loro vita. Ecco le parole: “Lei, prof, un giorno disse che noi non sospettiamo mai che la mamma abbia messo il veleno nella minestra che ci ha preparato” e che era giusto pertanto “fidarci di Dio, che ci ama più della nostra stessa madre”. L’insegnante ricordava ciò per invitare a dedicarsi alla formazione cristiana che sia forte, razionale, che dia certezze e accenda delle luci che prima o poi emergono dal profondo della coscienza. Una filosofia di questo tipo è quanto noi cerchiamo di esprimere con le nostre valutazioni, informazioni e orientamenti. Questo è il senso di ciò che abbiamo fatto e continueremo a fare con l’impegno della comunicazione sociale legata alla Chiesa e al territorio.

AUTORE: Elio Bromuri