Il mondo tra i banchi di scuola nei piccoli paesi come in città

4.244 MINORI STRANIERI ISCRITTI ALLE SCUOLE UMBRE.PIÈ ALLE ELEMENTARI E MEDIE

Marocchini, albanesi, africani, latino-americani, Est europei, filippini, cinesi. Sono i compagni di classe dei nostri figli, bambini nati in Italia e che hanno seguito un iter scolastico “normale”, uguale a quello seguito dai nostri figli, ma anche bambini che arrivano dopo un ricongiungimento familiare: per loro nella maggior parte delle scuole vengono attivati interventi d’accoglienza rivolti all’insegnamento della lingua italiana. Sono soprattutto questi ad avere maggiori difficoltà di integrazione. Ma la lingua non rappresenta l’unico e principale “scoglio” su cui lavorare. Spesso lo è l’età: inserire un bambino dai sei agli otto anni è più facile, salvo casi particolari, che non giovani in età adolescenziale. La provenienza e lo stato di scolarizzazione acquisito influiscono in maniera diversa sulla programmazione e organizzazione dell’attività didattica. Occorre inoltre fare i conti con il carattere disomogeneo dei gruppi formatisi all’interno della classe, soprattutto per la loro diversa composizione linguistica. La situazione poi si complica se l’inserimento avviene a anno scolastico iniziato, o in condizioni spesso improvvisate. Ulteriore difficoltà viene dal nostro sistema scolastico che ha divieti, obblighi, permessi e indicazioni spesso molto diverse da quelle del paese d’origine del minore straniero. E la scuola come risponde a questa nuova realtà? Le esperienze sono per lo più positive, secondo insegnanti, capi d’istituto e operatori culturali. Ma non sempre è così. Alle scuole elementari l’inserimento del bambino straniero è certamente più facile. In media entro tre mesi imparano a comunicare nella nuova lingua e sin dai primi giorni fare amicizia con i compagni non è un problema. Anche per le maestre lavorare con loro, quando non intervengono difficoltà legate al carattere o a disagi di inserimento, è fonte di arricchimento, occasione per conoscere una cultura “altra”. Il problema si crea quando da subito questi bambini dimostrano problemi di adattamento, di disagio, che li porta ad entrare in conflitto prima con l’insegnante e poi anche con la classe. In genere maggiori difficoltà vengono manifestati dai bambini africani, con tradizioni e culture molto diverse dalle nostre. Anche i bambini di religione islamica a volte stentano ad adattarsi, mentre è più facile l’integrazione dei bambini sudamericani, per cultura e religione più vicina alla nostra. Così almeno risulta dai colloqui avuti con alcuni insegnanti. Diversa è la situazione alle scuole medie, soprattutto per l’età. Fare amicizia con i compagni non è più così “spontaneo” come non è facile adattarsi facilmente alla nuova realtà. In questa fase risulta anche più faticoso imparare l’italiano. Se poi il ragazzo ha uno o due anni in più rispetto al resto dei compagni, e a volte capita, l’inserimento può manifestare qualche disagio. In questi casi, così come quando sopravvengono difficoltà legate a comportamenti un po’ “sopra le righe”, il compito degli insegnanti diventa spesso gravoso. Solo le scuole che raggiungono il 10 % di stranieri iscritti hanno diritto a finanziamenti per attivare dei percorsi specifici per l’integrazione e per l’insegnamento della lingua italiana. E allora la domanda: perché non estendere tali finanziamenti anche alle scuole con un numero inferiore di iscritti stranieri, ma spesso con uguali se non superiori difficoltà ? Le strategie di intervento potrebbero essere migliorate soprattutto nella preparazione dei docenti e dei capi d’istituto attraverso dei corsi specifici. L’ausilio di operatori culturali, con funzioni di mediatore non solo linguistico e in casi estremi di assistenti sociali, potrebbero risolvere, o almeno rendere più agevoli, situazioni che a prima vista sembrano insormontabili. Gli stranieri iscritti nelle scuoleNegli ultimi cinque anni il numero di bambini e ragazzi immigrati iscritti nelle scuole italiane nell’anno 2000-01 è raddoppiata passando da 70.000 unità a 147.406. Un “paesaggio multietnico” secondo dati del ministero della Pubblica istruzione, il più diversificato d’Europa con una rappresentanza di ben 182 paesi differenti. In Umbria, secondo i dati forniti dall’ Ufficio scolastico regionale, gli stranieri iscritti nelle scuole per l’anno scolastico 2001-02 sono 4.244. Di questi 949 iscritti alle materne, 1.952 alle elementari, 1.087 alle medie, 256 alle superiori (quest’ultimo numero è soggetto a variazioni nel corso dell’anno per motivi di abbandono), con un incrementocomplessivo rispetto all’anno scorso, di quasi 300 unità. Come comunicare con i nuovi arrivati, soprattutto nei primi giorni di scuola, è il principale problema che l’insegnante incontra quando arriva nella classe un minore straniero. Più facile da risolvere alle elementari, più complesso alle classi medie e superiori. Nell’VIII circolo (Ponte Valleceppi, Ponte Felcino, Ripa e Pianello) un centinaio sono i bambini iscritti alle scuole elementari. Di poco inferiore il numero dei bambini iscritti alle materne. Una presenza che supera il 10%, posizionando la zona tra quelle a più alta densità di immigrati stranieri nell’hinterland perugino. La percentuale maggiore appartiene ai bambini del Marocco, segue l’Albania, la Macedonia, la Costa d’Avorio e la Romania. “La nostra esperienza con gli immigrati è più che decennale”, racconta Iliana Pascolini vicaria della scuola elementare L. Antonini di Ponte Valleceppi, dove è dirigente Antonio Nigro. Per Nigro il problema della lingua nella maggior parte dei casi si risolve: grazie all’alta percentuale di bambini stranieri iscritti è possibile contare sui finanziamenti ministeriali per attivare corsi di prima alfabetizzazione, con i quali i bambini apprendono la lingua attraverso il dialogo e la lettoscrittura. “Purtroppo questi finanziamenti non sempre arrivano in tempo” – prosegue Nigro – e allora si interviene con le disponibilità d’organico della scuola. “Ottimi risultati l’abbiamo avuti anche con il teatro – ricorda con soddisfazione Iliana Pascolini – attraverso la drammatizzazione i bambini hanno imparato molto”. Le maggiori difficoltà le hanno avute con dei bambini africani, arrivati a 8-9 anni analfabeti. Per loro e per altri con pari difficoltà hanno approntato percorsi specifici, in gruppi a parte cosiddetti “verticali”, di età dai 7 ai 9 anni. L’inserimento in classi di età inferiore a quella anagrafica, deciso sempre in accordo con i genitori, non sempre viene accettato volentieri dai bambini: “qui il sostegno della famiglia è importante – spiega Nigro – affinché il bambino capisca il perché della scelta”. Per Iliana Pascolini l’esito dell’inserimento dipende molto dalle aree di provenienza. “In genere i bambini quando arrivano a scuola – racconta – rimangono ‘piacevolmente’ sconvolti dal nostro sistema scolastico. Soprattutto dal fatto che si da del tu alla maestra. In alcuni Paesi con sistemi scolastici molto più rigidi, questo non è possibile e a volte qualche bambino ne approfitta prendendosi qualche libertà”. La scuola italiana comunque piace molto ai genitori, generalmente soddisfatti di come procede il percorso scolastico dei propri figli. Anche per Nicola Pagano dirigente scolastico alla scuola elementare “Comparozzi” di Perugia superato il problema della lingua, i bambini si inseriscono molto più facilmente. “Qualche difficoltà – spiega – si incontra se l’inserimento del bambino avviene ad anno iniziato, o se il bambino ha un vissuto scolastico non continuo, o non è mai andato a scuola, ma di questi non ne abbiamo incontrati molti”. A Madonna Alta, quartiere dove ha sede la scuola vivono molti sudamericani: Perù, Equador, Brasile, ed anche qualche albanese. La disponibilità di alloggi e di lavoro per i genitori dei bambini, ha creato nella zona una comunità numerosa. Nella scuola ci sono 57 stranieri iscritti, su un totale di 850 bambini. “Quelle sudamericane sono famiglie che tengono molto alla preparazione scolastica dei propri figli e nonostante non conoscano bene l’italiano partecipano molto alla vita scolastica dei propri figli”. “In genere – precisa – sono bambini che si adattano presto, vogliosi di imparare, di stare con gli altri, perché per loro significa riuscire ad integrarsi meglio nella comunità. Per questo abbiamo svolto anche dei momenti di reciproca conoscenza della culture di provenienza dell’altro. E abbiamo constatato che l’accoglienza da parte dei compagni italiani è lodevole”. A confermarlo è Carla Pascoletti, una maestra della scuola. Nella sua classe, la prima elementare, dove insegna italiano, ci sono tre bambini stranieri. L’ultimo arrivato, un mese fa, è Eric, è dell’Equador. E’ un po’ timido e non parla ancora l’italiano “E’ un bambino intelligente, sa già scrivere qualcosa e il suo compagno di banco lo aiuta molto. Anzi devo dire che a volte i compagni se lo contendono. Purtroppo non posso dedicargli personalmente molto tempo, perché la classe non è ancora molto autonoma. Capita così che si annoia e a volte si addormenti”. “E’ stato utile l’anno scorso – ricorda – il supporto di un’insegnante esterna che prendeva questi bambini stranieri e al computer li faceva lavorare sulla loro cultura. Poi il loro lavoro veniva socializzato in classe”. Felice è stato anche l’inserimento di Andrei: viene dalla Russia, la mamma conosce pochissimo l’italiano e lui fa da interprete. Esperienze positive, dunque, di bambini con capacità di integrazione linguistica sorprendente. In passato, tra i tanti, ci sono stati anche alcuni figli di donne che “lavoravano sulle strade”. Ricorda il dirigente Pagano quando “questi bambini arrivavano spesso soli a scuola o accompagnanti dai taxi e le madri non partecipavano mai ai colloqui”. Evidenti erano i segni di disagio nei rapporti con gli altri, e il loro rendimento scolastico ne risentiva molto. Bambini che non dimostravano problemi economici perché ben vestiti, forniti sempre di materiale scolastico, partecipi finanziariamente alle attività collaterali della scuola. Erano però bambini spesso estranei al mondo che li circondava, confusi anche rispetto al mondo vissuto entro le mura domestiche ed ogni tentativo di approccio da parte delle maestre finiva nel nulla. Un insegnante di sostegno o un’insegnante che possa seguire i bambini stranieri con un percorso specifico è quello che chiedono alcuni insegnanti. “La scuola non ha questi margini d’autonomia – spiega Porena – a meno che ci siano degli insegnanti in esubero, rispetto al numero delle classi, e si decida di destinarne uno a tale scopo. E’ una scelta che dovrebbe fare il Ministero, dando i fondi per realizzarla”. Alla scuola media “G. Marconi” di San Sisto, sono 46 gli studenti stranieri, al primo posto marocchini seguono africani, soprattutto della Costa d’Avorio e del Senegal. C’è chi è arrivato ad anno iniziato. Fa il quadro della situazione la preside Antonella Ubaldi. “Per la loro alfabetizzazione, utilizziamo insegnanti del nostro organico. Ma accanto al problema della lingua, – sostiene – alcuni giovani, soprattutto di colore, hanno avuto altri tipi di problemi, forti disagi legati in particolare all’accettazione di sé, (soprattutto in una classe di bianchi) al bisogno di sentirsi accolti e protetti. “Purtroppo non sempre questo avviene e non solo da parte dei compagni, generalmente ben disposti ad accoglierli”. Chiedono “di tornare nel loro paese”, di cui hanno grande nostalgia e si ribellano nei confronti dell’ambiente circostante, “dal quale non si sentono accolti”. “Abbiamo anche avuto giovani con problemi di piccola devianza: in genere il padre non c’era mai perché lavorava, la madre ‘non aveva un forte ascendente su di loro’. Giovani di religione musulmana a volte, non è una regola – ci tiene a precisarlo – assumono comportamenti ‘eccessivi’, di non rispetto per la scuola, per gli insegnanti e la famiglia stessa che a sua volta non sa come contenerli”. “La scuola purtroppo in queste situazioni viene lasciata sola”, commenta amaramente la Dirigente, mentre “avrebbe bisogno di operatori non solo culturali, ma psico-pedagogici in grado di mediare e prevenire”. E’ un’età difficile questa per i giovani – sostiene – e per gli stranieri lo è ancora di più”. E l’unica soluzione praticabile con mezzi a disposizione in questi casi, è quella dei servizi sociali e del Tribunale dei minorenni. Si augura per il prossimo anno di attivare un corso di psicologia per gli insegnanti per far fronte a questo tipo di problema”.LE TESTIMONIANZE DELLE INSEGNANTIStefania, Ivana, Rosaria, Cristiana insegnanti elementari e medie da cui abbiamo raccolto altre testimonianze. Tutte concordi nel ritenere che la lingua è il problema dei primi mesi “soprattutto – spiegano Stefania e Ivana, insegnanti elementari, – a causa dei tempi morti durante i quali i bambini purtroppo si annoiano”. Ma altri elementi entrano in causa, come la cultura e la religione. Stefania ricorda un alunno di quarta elementare, di religione musulmana: il padre, figura predominante nella famiglia, si era assentato per motivi familiari tornando in Marocco per alcuni mesi: da quel giorno il bambino era cambiato, era più irrequieto, rientrava a casa la sera tardi, non studiava. Diverso è stato il caso di alcuni bambini iraniani, sempre di religione islamica, molto seguiti dalla famiglia che teneva molto ai loro studi. Nel pomeriggio la mamma li preparava al programma scolastico del loro Paese. Alla fine dell’anno andavano a Roma a sostenere l’esame in iraniano. “Una situazione che a volte pesava a questi bambini, soggetti a vivere due culture contemporaneamente”. Rosaria ricorda invece l’esperienza con una bambina africana. Era l’unica straniera della classe e probabilmente per lei era motivo di disagio “voleva vincere sempre lei e il risultato era che tutti la allontanavano”. Con un bambino colombiano poi aveva provato di tutto, utilizzando addirittura il gioco, pur di coinvolgerlo nella lezione, “ma si ribellava sempre”. Per Cristiana, insegnante alle medie, difficile è stato il caso di un ragazzo marocchino, “in classe cercava sempre di prevalere, arrivava addirittura ad atteggiamenti di sfida nei confronti delle insegnanti, a volte con gesti un po’ troppo ‘sopra le righe’. Certamente aveva dei problemi in famiglia che noi, come insegnanti non avevamo capito”.

AUTORE: Manuela Acito