Il racconto della Trasfigurazione del Vangelo di questa domenica, potremmo dividerlo in tre momenti: salire in disparte con Gesù, vedere Gesù che si trasfigura, scendere dal monte. Gesù “conduce in disparte, su un alto monte”. Dio si fa conoscere nella montagna. L’evangelista Luca specifica maggiormente il contesto: “Salì sul monte a pregare, e mentre pregava l’aspetto del suo volto divenne…” (9,28-29), collocando l’episodio in un contesto di preghiera. Gesù rivela la sua divinità in un luogo ‘altro’ rispetto al normale quotidiano.
È l’esperienza a cui noi cristiani veniamo chiamati. Gesù ci invita a vivere momenti di intimità con lui per farsi conoscere, per parlarci, per manifestarsi. Cosa unisce Pietro, Giacomo e Giovanni con Gesù? Senza dubbio un forte legame di amicizia. Pietro, addirittura, sei giorni prima, alla domanda di Gesù: “Chi dite che io sia?” aveva risposto: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Questa affermazione non era un semplice punto di arrivo, ma un punto da cui partire, l’inizio di un percorso umano da parte di Pietro per capire la vera identità di Gesù e il senso di quello che sarebbe accaduto. Tale percorso si concluderà solo con la Pentecoste. Gesù, infatti, aveva cominciato a preannunciare ai discepoli i fatti che di lì a poco sarebbero accaduti, ma umanamente, i “suoi” non riuscivano a capirlo. Gesù “fu trasfigurato davanti a loro”. I discepoli vedono. “Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come luce”.
Dall’umanità comune, Gesù passa a manifestare la sua divinità gloriosa come anticipo di quello che poi si sarebbe compiuto il giorno di Pasqua con la sua risurrezione. I discepoli fanno esperienza dell’autentica bellezza e, estasiati, desiderano fermarsi per vivere ininterrottamente lo stato di gioia in cui Gesù cade nell’amore del Padre. Ecco perché le tre capanne! Come se volessero che il tempo si fermasse in quell’istante. Quante volte rischiamo anche noi di vivere l’esperienza di Gesù come un semplice fatto privato, come una gioia da godere ma non da trasmettere. Poi una nube luminosa li avvolge, li “copre”, e dopo il facile entusiasmo riescono a cogliere meglio il senso dello splendore di Dio. È dunque un’esperienza nell’esperienza che rende chiaro ai discepoli che riconoscere in Gesù il Figlio di Dio significa ascoltarlo e accoglierlo fino in fondo e nonostante tutto.
L’assaggio della gioia della Trasfigurazione, pur annunciando l’esultanza della Pasqua, non prescinde dal passaggio per Gerusalemme. Ecco allora il terzo momento a conclusione del brano: “scendevano dal monte”. Dopo l’esperienza della manifestazione divina di Gesù, occorre rientrare nel nostro quotidiano e ordinario vivere, con la consapevolezza che anche le varie difficoltà, gli insuccessi e la stanchezza sono parte di quel cammino che porta tutti noi a poter contemplare la Trasfigurazione gloriosa. Il nostro itinerario di vita cristiana, infatti, non prescinde dall’esperienza della fatica. È fatica nascere, cominciare a camminare, istruirsi, crescere, costruire una famiglia, invecchiare. Con la sua trasfigurazione, Gesù annuncia che vi è comunque un fine “altro”, una gioia che dà autentico senso a tutto.
Anche la famiglia cristiana nasce in disparte, come intima relazione tra un uomo e una donna che, sostenuti dalla grazia di Dio nel sacramento del matrimonio, cominciano un cammino verso una vera e propria trasfigurazione: il “noi”, maschio e femmina, diviene immagine di Dio. Così come Dio è relazione tra Padre, Figlio e Spirito santo, la famiglia è relazione tra uomo e donna; e così come Dio crea, l’uomo e la donna generano e partecipano loro stessi alla creazione. La famiglia deve salire spesso sul monte per fare esperienza di Lui anche nella preghiera. Non può però poi arroccarsi, ma deve scendere e aprirsi agli altri per essere nel mondo vero modello di Dio: “A immagine di Dio li creò, maschio e femmina” (Gen 2,27).