Dobbiamo saperci incontrare. Dobbiamo edificare, creare, costruire una cultura dell’incontro. Uscire a incontrarci”. È la richiesta espressa da Papa Francesco in occasione dell’ultima festa di san Gaetano in Argentina. Più di un appello, quello rivolto al popolo in una delle ricorrenze preferite dal Bergoglio arcivescovo di Buenos Aires, per indicare ancora una volta la strada da percorrere: aprire le porte, varcare l’uscio e scendere in strada per incontrare le persone e dialogare con loro. Mettendo al centro, sempre e ovunque, gli ultimi: “Il Papa ama tutti, ricchi e poveri; ma il Papa ha il dovere, in nome di Cristo – scrive nella ‘Evangelii Gaudium’ -, di ricordare al ricco che deve aiutare il povero, rispettarlo, promuoverlo”. Della Chiesa aperta e inclusiva guidata dall’annuncio e dalla testimonianza, che nella “cultura dell’incontro” trova la chiave di volta per costruire un mondo più giusto, abbiamo parlato con lo storico del pensiero politico Giuseppe Vacca, presidente della Fondazione Istituto Gramsci di Roma.
La “scelta per i poveri” non è riflessione astratta ma “promozione di giustizia” che si realizza nell’incontro. Chi sono i poveri di oggi?
“I poveri non sono soltanto quella parte di umanità che porta il dono del riscatto. Sono anche un punto di vista sulla realtà. E questa, per me che ho una formazione e una cultura da non credente, è una scelta che condivido: guardare il mondo dalla parte degli ultimi. È un po’ la prosecuzione dell’idea del Machiavelli: dai bordi si capisce meglio l’insieme. E questa è anche la sostanza del messaggio del Papa. Non sta soltanto affermando valori fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa cattolica o del cristianesimo, sta dicendo anche che se non si è capaci di guardare il mondo con tutte le sue contraddizioni e possibilità non lo si può capire davvero. Da non credente, condivido pienamente”.
Cultura dell’incontro è anche saper accogliere le persone che migrano da Paesi lontani…
“È una questione non soltanto di equità, bontà e carità ma di intelligenza del mondo. Non è concepibile pensare le nazionalità come ce le ha consegnate la storia della modernità europea: unità di lingua, cultura, territorio e sovranità determinata. Stiamo vivendo un passaggio in cui il multi-culturalismo, la multi-etnicità e la multi-religiosità saranno i confini di una nuova definizione in corso d’opera di quello che chiamiamo popolo. E allora come si fa a non vivere questa fase con apertura, certo trepidante e responsabile, guardando a chi questa storia l’ha già vissuta prima come l’America Latina”.
Anche la fede nasce da un “incontro” personale con Cristo. Come può esserci un riconoscimento reciproco di valori tra credenti e non credenti?
“Il percorso è iniziato a partire dal Concilio e da Giovanni XXIII. Ora però ci troviamo alla prova dei fatti perché in ultima analisi, dal punto di vista della possibile e perfezionabile unità del genere umano, ciò che ereditiamo dalla modernità è una progressiva distinzione nel rapporto tra la politica e la religione. E quindi tra credenti e non credenti. Impostare il problema in termini di incontro e collaborazione significa allora partire da una visione positiva della modernità, riconoscendo che il destino non è segnato dal nichilismo. A me, che non sono figlio di una cultura religiosa ma della lezione di Palmiro Togliatti, sembra evidente che la risorsa principale sia riconoscere i valori reciproci”.
Le disuguaglianze sociali sono di fronte agli occhi di tutti. Bisogna avere coraggio per credere di poter modificare le cose…
“I tempi non cambiano mai da soli, siamo noi che possiamo trasformarli in meglio o in peggio. E questo dipende dalle idee e dalla speranza che abbiamo nella testa e nel cuore. La speranza è la categoria che apre all’unità tra credenti e non credenti e all’idea di un tempo aperto al futuro”.
Dialogo e incontro per superare i conflitti e cercare la pace. C’è speranza anche per una società segnata dalla contrapposizione?
“La divisione è più in superficie che nella sostanza. Pensiamo ad un tema sensibile al Papa, come quello del ruolo delle donne. Quando in uno dei momenti di maggiore lacerazione regressiva e depressiva del Paese nasce per iniziativa di un piccolo gruppo di donne un movimento che, lasciando alle spalle il vecchio femminismo, rivendica la dignità della donna e tenta di ricucire l’unità politica, culturale e religiosa della nazione portando in centinaia di piazze italiane un milione di persone, significa che sotto la corteccia di una politica impoverita e ridotta a guerre senza principi… il Paese è vivo e avverte bisogni di altra natura. E anche la Chiesa lo percepisce, basti pensare alla folla che si riversa ogni settimana in piazza San Pietro. Osservo tutto ciò con interesse morale e culturale, lo stesso che mi ha portato la sera in cui è morto Papa Giovanni ad andare in piazza e scoprire che la metà dei presenti erano miei compagni del Pci”.
Quindi cambiando la Chiesa si può cambiare il mondo…
“Non ho alcuna titolarità per chiedere questo alla Chiesa perché non ne faccio parte se non, potremmo dire, come popolo di Dio. Ma non posso che stare a guardare con entusiasmo”.
Riccardo Benotti
Biografia: Giuseppe Vacca
Nato a Bari nel 1939, si è laureato in Filosofia del diritto nel 1961 discutendo una tesi sulla filosofia politica e giuridica di Benedetto Croce. Dopo la laurea, ha collaborato per un anno come redattore alla casa editrice Laterza, per dedicarsi in seguito prevalentemente alla ricerca. Fin dagli anni giovanili ha sempre svolto una intensa attività politica e di organizzatore di cultura. Docente in Storia delle dottrine politiche, ha fatto parte del Consiglio di amministrazione della Rai ed è stato deputato nelle liste del Pci nella IX e X legislatura. Nei primi anni di ricerca ha studiato l’idealismo novecentesco e l’hegelismo italiano del secondo Ottocento, con attenzione prevalente alla genesi del marxismo in Italia. Ha rivolto poi i suoi studi alla storia del marxismo contemporaneo. Quindi alla società italiana e in particolare alla cultura e alla politica del Novecento, soprattutto l’età repubblicana. È presidente della Fondazione Istituto Gramsci di Roma e della Commissione scientifica dell’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Fra le sue opere principali: Politica e filosofia in Bertrando Spaventa (Laterza), Scienza, Stato e critica di classe (De Donato), L’informazione negli anni Ottanta (Editori Riuniti), Il marxismo e gli intellettuali (Editori Riuniti), Vent’anni dopo. La sinistra fra mutamenti e revisioni (Einaudi), Gramsci a Roma, Togliatti a Mosca (Einaudi), Il riformismo italiano (Fazi Editore).