“Luci di speranza per la famiglia ferita: persone separate e divorziati risposati nella comunità cristiana” è il tema della meditazione svolta da don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia, la mattina del 27 febbraio scorso a Spagliagrano, al ritiro spirituale mensile del clero della diocesi. “Quando – ha esordito don Paolo – ci si accosta a persone e a famiglie profondamente ferite, occorre la massima delicatezza e tenerezza. Talvolta una persona ferita non la puoi nemmeno abbracciare, perché rischi di fargli molto male. Allo stesso tempo, però, è una gioia grande poter comunicare la tenerezza e la premura della Chiesa verso i suoi figli più provati e tribolati”.
“L’immagine che offro – ha soggiunto – è quella del ‘tesoro in vasi di creta’ di 2 Corinzi 4,7. Cioè, quando un vaso si spezza, il tesoro resta; in questo caso, il tesoro sono le singole persone che hanno fatto quel matrimonio, che sono da accogliere come figli di Dio. Sono persone le cui vite, in un modo o nell’altro, si sono impastate insieme tra di loro, mescolandosi allo stesso tempo con tanti sentimenti confusi: rabbia, solitudine, risentimento o, quando il cuore si apre, perdono e riconciliazione.
Si avverte una grande sofferenza in queste storie di vita. E la Chiesa, la comunità cristiana, che è madre e maestra, non può stare a guardare, ma è chiamata, come Maria, alla sollecitudine per le nozze che non hanno più vino. Vorrei che, sulle orme di Papa Francesco, entrassimo in punta di piedi, avvicinandoci a questa porzione spesso dolorante della nostra realtà di Chiesa”.
Il relatore, osservando che le situazioni più scottanti vengono da coloro che hanno acquisito una nuova unione, per le difficoltà legate all’accesso negato all’eucarestia, ha sottolineato alcuni aspetti:
1) Oggi su questo tema c’è molta confusione, talvolta anche tra gli stessi sacerdoti. Occorre prima di tutto annunciare con chiarezza la dottrina della Chiesa e un’attenzione speciale alle indicazioni del Magistero. Non c’è autentica carità senza verità.
2) Si è ancora eccessivamente legati ad una pastorale di sacramentalizzazione, più che di annuncio e di evangelizzazione.
3) Occorre evitare il rischio di sentirsi “proprietari” dei sacramenti, così da assumere toni di giudizio e di condanna definitiva verso le persone ferite.
4) I battezzati che vivono la separazione o il divorzio restano per sempre e comunque figli del Padre celeste e della Chiesa.
5) Anche chi vive una situazione di non totale comunione con la Chiesa perché contraddice a un impegno assunto con il matrimonio cristiano appartiene ancora alla Chiesa, non ne è escluso. Lo afferma chiaramente il Direttorio al n. 196.
Don Paolo ha poi ricordato che occorre prima di tutto aiutare l’intera comunità a divenire più accogliente, nella consapevolezza che un atteggiamento di condanna estrema delle persone non è condiviso da quel Cristo che, nei Vangeli, invita a non puntare il dito contro all’adultera, pur evidentemente colpevole.
“Mi sembra che l’indirizzo pastorale da perseguire – ha quindi detto – possa essere scandito in quattro tappe rappresentate da altrettante parole-chiave: accogliere, discernere, accompagnare, educare. Si tratta infatti di persone che, pur avendo commesso degli errori, restano figli di Dio e della Chiesa, e in tal senso sono da accogliere con tenerezza. Possiamo quindi dire che lo sguardo nuovo che ci è richiesto consiste nel guardare alla ferita come una ‘feritoia’ dove, negli occhi splendenti del Cristo crocifisso e risorto, si accendono luci di speranza per la famiglia ferita. Tutto questo – ha concluso – è per dire che siamo chiamati, come Pastori, a rendere presente quel Cristo che attraverso le nostre parole e i nostri cuori dice loro: Non siete soli!”.
Don Paolo Gentili, nel pomeriggio, nel convento di Montesanto a Todi, ha trattato lo stesso tema per le famiglie che si stanno preparando, con varie tappe, al loro Giubileo in programma il prossimo 25 aprile ad Orvieto.