Qualche anno fa, la notte tra il Sabato Santo e la Pasqua, quando ancora ce la facevo a conciliare la partecipazione alla Veglia Pasquale e la mattutina presenza in Chiesa il mattino dopo. Tirava una giannetta niente affatto primaverile, quell’anno, e io camminavo tenendo rialzato il bordo dell’eskimo con la mano sinistra. M’affiancò un’automobile, il finestrino si aprì. Un sorriso biondo, una domanda gentile: “Tofe essere Pascua?”. Era un profeta. Me ne sono reso conto più tardi: sembrava solo un Tedesco, ma sicuramente era un profeta. E come tutti i profeti seri poneva domande più che dare risposte. E come tutti i profeti seri capiva solo in parte la domanda che poneva. “Dov’è Pasqua?”, se vuoi sapere dove puoi trovare una Chiesa in cui si tenga la Veglia Pasquale, tiro fuori la mano destra affondata nella tasca e t’accontento. Ma se “Dov’è Pasqua?” vuoi saperlo davvero, fino in fondo, fratello mio, presumibile figlio legittimo di un elfo e di una walkiria, bisogna che ci sediamo da qualche parte, ci raschiamo la gola e cominciamo la conta. Pasqua è dovunque un uomo passa dalla vigliaccheria al coraggio, dovunque un uomo passa dall’ignoranza di se stesso e del proprio essere nel mondo alla conoscenza di se stesso e del proprio destino. Dovunque fiorisce la speranza, e qualcuno sfama e disseta qualcun altro. Dovunque la superficialità arretra a beneficio della profondità, e l’egocentrismo cede il posto alla generosità. Vedi bene, fratello mio dai capelli di stoppa e dagli occhi di madreperla, che se cominciamo, duriamo tutta la notte, senza Veglia Pasquale. Certo, l’analogatum princeps è lì, nell’Exultet che implora la stella che non conosce tramonto. Ma tutt’intorno – credimi! – c’è il mondo intero, anche e soprattutto là dove la verità e il bene sono appena residuali. Buona Pasqua.