Montemorcino: opera di “ricostruzione” della persona

Casa di accoglienza per carcerati, opera segno della Caritas diocesana

E’ conosciuta come la casa di accoglienza per carcerati, ma ormai è un po’ di tempo che si accolgono persone di diversa provenienza e bisogno. E’ la casa di Montemorcino, opera segno della Caritas diocesana che ultimamente ha preso un nome nuovo, “Casa San Giuseppe Cafasso”. Una sede particolarmente adatta per questo tipo di servizio sia per la posizione “strategica” – vicina al Centro storico di Perugia, vicina alla stazione, alla Questura… – che per la qualità del posto: una grande casa con terreno coltivabile, dove si ha molta possibilità di lavorare all’aperto. “E’ una casa che accoglie principalmente uomini, anche se poi la gestione è affidata quasi completamente a donne”, spiega Linda, 30 anni, la giovane volontaria che per una scelta ben precisa, presta servizio nella casa da tre anni, condividendo la quotidianità delle persone accolte. “Adesso abbiamo aperto le porte un po’ a tutti – continua – e non c’è solo questa specificità dell’accoglienza ai detenuti, anche se i detenuti sono aumentati rispetto a qualche tempo fa”. “Prima – spiega Linda – la casa era suddivisa in due piani: sopra la casa-comunità obiettori; sotto la comunità di accoglienza Montemorcino. E sotto c’erano camere piccole, per cui ogni ospite aveva la sua camera singola… Adesso siamo mescolati: sia sopra che sotto è casa di accoglienza. Sotto le camere sono lasciate per malati o per casi particolari con necessità personali di spazio diverse. Sopra stiamo le donne in una stanza e gli uomini nelle altre, però stiamo insieme: detenuti, volontari e obiettori”. L’accoglienza dei detenuti parte da un primo approccio che avviene in carcere con un certo numero di colloqui. Si conosce la persona, si cerca di capirne i bisogni e poi si fa la proposta della casa di accoglienza; il tutto in collaborazione con i servizi sociali. Di solito sono gli stranieri quelli che, chiaramente, hanno più bisogno di aiuto, sia per mancanza di appoggi vicini, sia per difficoltà nel trovare famiglie che li accolgano. La “giornata tipo” a Montemorcino è vissuta da tutti all’insegna del lavoro e della preghiera, ma anche di momenti di fraternità. “La sveglia – ci dice Linda – è alle 6.00, o alle 6.30, a seconda se abbiamo la messa o no. Iniziamo con le Lodi e poi, appunto la messa se c’è; dopo si fa colazione. Poi per i ragazzi c’è il lavoro all’esterno: manutenzione, giardinaggio… Il pranzo e la cena, come la cura della casa, sono affidati alle ragazze. Il dopo cena, dato che non c’è né televisione né radio, prepariamo delle serate di animazione a turno: da momenti seri in cui alcuni raccontano la propria vita, a momenti di gioco, fino a momenti di verifica sull’andamento della giornata in casa. Un’ultima preghiera e si va a dormire alle 10.30”. Da un po’ di tempo a questa parte a Montemorcino cercano di non accogliere tanto gli “affidati”, cioè quelle persone che escono dal carcere per un lavoro all’esterno, ma solo coloro che sono agli arresti domiciliari o in detenzione, perché possano essere sempre presenti qui in casa. In questo modo è più facile un’opera di recupero, di “ricostruzione” della persona.I risultati ci sono: un ragazzo alcolista, accolto già due anni fa, ha ormai festeggiato il primo anniversario da quando ha smesso di bere. “E non è solo questo: ha fatto passi da gigante anche nel modo di relazionarsi con gli altri – racconta Linda – correggendo la sua irascibilità. Ho visto nel tempo come si è ridimensionato questo aspetto: quando si arrabbiava, saliva in camera e non lo vedevamo per tutta la serata. Ora è diverso…”.Progetti futuri? In verità ci sono: la prospettiva è quella di un trasferimento della comunità di accoglienza nella struttura di Pieve San Sebastiano, nei pressi di Montelaguardia… ma intanto la vita a Montemorcino va avanti. E’ ormai primavera, il tempo giusto per piantare nuovi fiori ed è questo il lavoro che attende i nostri amici nei prossimi giorni. Incontro sul carcereIn questo finale di Quaresima dedicata dalla Caritas diocesana al mondo carcerario perugino si terrà sabato pomeriggio 23 marzo alle ore 15.30, un incontro di sensibilizzazione aperto a tutte le Caritas parrocchiali, al quale sono stati invitati i vertici delle istituzioni carcerarie (la direttrice Bernardina Di Mario), i cappellani e i volontari. Gli obiettivi dell’iniziativa sono: avvicinare le comunità parrocchiali a questa realtà e ai suoi ‘protagonisti’, i detenuti e le detenute, stimolare l’intera comunità cristiana diocesana a farsene carico con la preghiera e con azioni concrete; ripensare al significato della giornata del Giubileo delle carceri e alle ‘indicazioni’ del Papa che non hanno trovato seguito nelle istituzioni politiche; fare il punto sulla situazione carceraria perugina in vista dell’apertura della grande struttura penitenziaria di Capanne, che sarà il terzo “super carcere” dell’Umbria dopo quelli di Spoleto e Terni.

AUTORE: Francesca Acito