San Benedetto, figlio dell’Umbria, padre di civiltà

NORCIA HA CELEBRATO LA FESTA DEL PATRONO D'EUROPA

San Benedetto è il più insigne figlio di Norcia: lo è anche dell’Umbria. E’ una proposta, una sorta di sfida che ci viene dai secoli, ma anche una risposta a una domanda veramente attuale: quale rapporto è possibile tra la Chiesa e il mondo? O, per dirlo in altri termini, l’intuizione di San Benedetto è di portare le conseguenze della logica dell’Incarnazione nella questione Chiesa/mondo. Il Cristianesimo, essendo espressione della fede nell'”Emanuele” – il Dio con noi, Dio vicino – non pone il momento religioso dell’uomo in contrapposizione alla storia. L’intuizione di Benedetto da Norcia è che il Vangelo è capace di plasmare la vita dell’uomo: rendere l’uomo più umano, liberandolo dal condizionamento del peccato e dalla schiavitù della paura della morte. La proposta benedettina si colloca nell’ambito di un lungo processo avviato nella Chiesa almeno tre secoli prima. Origene, Clemente Alessandrino e i Padri apologisti si erano a lungo interrogati se la fede e la cultura dovessero necessariamente contrapporsi. San Benedetto si colloca nella via aurea di questa tradizione antica, trovando nell’uomo, capolavoro del creato, il punto di conciliazione tra fede e libertà. L’uomo con i suoi problemi, con le sofferenze di una vita che, allora come oggi, si presenta provata non già da un “male” astratto e teorico, ma da una lunghissima litania di mali concreti, è oggetto dell’amore di Dio. Alla sua Chiesa il Signore chiede di non rimanere immobile di fronte ai mali dell’uomo: la carità diventa, nel linguaggio di ogni epoca, un potente richiamo alla concretezza. San Benedetto da Norcia intuisce la capacità liberatoria del lavoro; dà alla fede il ruolo di motivare l’impegno umano a favore del mondo, a trasformare il mondo. Con san Benedetto la fede, per fare carità, impara a uscire dal tempio per diventare potente risorsa dell’ordine secolare perché la “città dell’uomo” sia trasformata il più possibile a immagine della “città di Dio”. Monaci nelle cose di ogni giorno sono i figli di san Benedetto, che, nel corso del Primo Millennio punteggiano di oltre duecento presenze la terra umbra. E’ questa una pagina da riscoprire, anche perché in epoca di positivismo, quando si riavviarono gli studi su san Benedetto, l’Umbria non fu adeguatamente presente per illustrare le gesta del suo antico, grandissimo figlio della terra di Norcia. Occorre tornare a studiare, per capire meglio l’ingente opera di civilizzazione dei monaci benedettini in terra umbra, come filigrana della cultura nostra del Primo Millennio. Non basta ricordare come nella fredda valle di Santa Scolastica furono i monaci a rendere possibile l’allevamento degli animali durante l’inverno, canalizzando il fiume Sordo, perché le “Marcite” di Norcia dessero erba fresca anche in mezzo alla neve. I Benedettini di San Pietro in Bovara scavarono il secondo percorso del fiume Clitunno, perché, con la forza delle acque ad alleviare la fatica di uomini e animali, gli antichi nostri padri potessero far girare le mole nella “valle dell’olio”. Chi fu l’antico monaco che, avendo pietà degli agricoltori di Montefalco in Santa Maria di Turrita innestò quella particolare varietà di olivo che, quasi prodigiosamente, resiste al gelo degli inverni? Accanto allo “scriptorium” celeberrimo di Fonte Avellana, forse giova ricordare quello ugualmente fecondissimo di Sant’Eutizio, ma anche quelli giustamente ricordati di Santa Croce in Sassovivo e di San Pietro in Perugia. Una mirabile storia di cultura al servizio dell’uomo, per alleviarne la fatica e gli stenti, per illuminarne la mente e il cuore: ecco una ulteriore pista da percorre con gli studi in Umbria per riscoprire il senso di Benedetto da Norcia. Papa Gregorio Magno, nel secondo libro dei Dialoghi, del Santo Patriarca scrive: “ex provincia Nursiae exortus, Romae liberalibus litterarum studiis traditus fuerat” (Dialog. II-1,5). Legittimamente il moderno lettore si chiede dove avesse Benedetto imparato in Norcia i rudimenti della cultura, che poi andò a perfezionare a Roma. E’ la medesima questione che si pone chi, chiamanado san Benedetto “Padre del monchesimo d’Occidente”, scorge nella “Regula monachorum”, un ampissimo riferimento alla cultura monastica dell’Oriente. La stessa scansione del tempo tra il lavoro e la preghiera ben sappiamo che è precedente a san Benedetto: lo stesso principio di “ora et labora” è già documentato nella regola di Basilio Magno e negli scritti di Cassiano. Fin dalle origini delle esperienze cenobitiche, viene considerato il nesso ascetico tra il lavoro e la preghiera. Ma il Padre dei monaci d’Occidente dove avrebbe conosciuto tutte queste cose, se fuggendo da Roma era già maestro di vita ascetica, e poté fare da severo abate presso la comunità di Vicovaro? Certamente la questione di quale fu il luogo dove san Benedetto conobbe il monachesimo d’Oriente resta piena di fascino e merita adeguati studi. Non sfuggirà, tuttavia, all’osservatore attento, che presso la via romana che conduceva a Norcia, da “Tres Pontes” (Triponzo) a Camples (Campi), dove ora sorge l’Abbazia di Sant’Eutizio, vissero, a partire dal V secolo, monaci orientali che avevano raggiunto le nostre valli a seguito della crisi monofisita. I recenti scavi, fatti in occasione dei lavori per il Giubileo, hanno portato alla luce reperti archeologici delle “Laure” di quegli antichi eremiti. Fu Norcia la scuola monastica di Benedetto nella sua prima giovinezza? Non manca chi, tra gli studiosi di san Benedetto, ha intravisto come utile corsia di riflessione intellettuale il forte realismo che traspare dalla “Regula monachorum”. E’ ormai classica la tesi che vuole san Benedetto illuminato autore di una mirabile sintesi tra la cultura romana del diritto e le esigenze della fede cristiana. Credo che varrebbe la pena di chiedersi finalmente quale fu la cultura della “Regio VI” della riforma di Augusto, dove Benedetto da Norcia nacque e passò la sua giovinezza. Il che equivale a porsi il suggestivo quesito se la cultura che san Benedetto esprime non sia propriamente quella delle nostre antiche genti umbre del VI secolo dell’era cristiana. Se così fosse, come pare, celebrare san Benedetto equivale a rintracciare, nei numerosissimi “innesti”, che il mondo benedettino ha fatto nei secoli generando civiltà, una matrice che ci è propria, una antica ascendenza che, nel Patriarca san Benedetto, ci assicura una discendenza assai larga, di vere proporzioni bibliche. Ma questo merita d’essere adeguatamente studiato. Forse non si sta ricordando abbastanza che l’Umbria di san Francesco è anche l’Umbria di san Benedetto. In questo tempo di grandi mutamenti culturali, all’inizio del Terzo Millennio, il contributo degli umbri al progetto culturale nuovo non può lasciare nell’ombra le ricchezze di nessuno dei suoi grandi santi.

AUTORE: ' Riccardo Fontana