L’amore che supera la morte

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Vincenzo Paglia vescovo di Terni - Narni - Amelia V Domenica di Quaresima - anno A

Il Vangelo ci conduce nel villaggio di Betania, quasi alle porte di Gerusalemme. Gesù aveva qui una famiglia amica, quella di Marta, Maria e Lazzaro. Spesso si recava da loro per riposarsi. Questa volta era venuto perché gli avevano detto che il suo amico Lazzaro era malato. Gesù non voleva stargli lontano, anche se questo poteva significare per lui la morte.I discepoli non mancano di farglielo notare. Anzi tentarono di fermarlo, una volta saputo che Lazzaro era ormai morto.

Che senso aveva rischiare la morte per nulla? Ancora una volta i discepoli non avevano compreso la grandezza dell’amore del Signore, venuto non per salvare se stesso, ma gli altri! Essi volevano tenerlo lontano da Lazzaro, lontano da quell’uomo su cui ormai tutti avevano posto una pietra sopra. Non possiamo non pensare ai tanti uomini e alle tante donne sui quali ancora oggi è posta sopra una pietra pesante. Talora sono popoli interi ad essere oppressi dalla pesante pietra della guerra, della fame, della ingiustizia. E i discepoli di Gesù, anche oggi, molto spesso vogliono tenersi lontano, stare a distanza dai tanti Lazzaro sepolti e oppressi.

Magari anch’essi come Marta rivolgono a Gesù una sorta di rimprovero: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” Chiediamoci piuttosto dove siamo noi, mentre tanti muoiono di fame, o tanti annegano nel Mediterraneo, o tanti sono soli e abbandonati. Ebbene, vicino a costoro troviamo Gesù. Solo lui sta lì accanto, e piange su di loro, come su Lazzaro. Gesù sta da solo davanti a Lazzaro, e spera contro tutto e tutti. Persino le sorelle cercano di dissuaderlo: “Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni”, gli dice Marta. Ma Gesù non si ferma. Il suo affetto per Lazzaro è molto più forte della rassegnazione delle sorelle. L’amore del Signore non conosce confini, neppure quelli della morte; vuole l’impossibile. Quella tomba, perciò, non è l’abitazione definitiva degli amici di Gesù.

Per questo grida: “Lazzaro, vieni fuori!” L’amico sente la voce di Gesù, appunto, come sta scritto: “le pecore conoscono la sua voce” (Gv 10,3) E il profeta Ezechiele aveva detto: “Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio” (37,12). Lazzaro ascolta, ed esce. Gesù non parla ad un morto, ma ad un vivo, semmai ad uno che dorme. E invita gli altri a sciogliere le bende all’amico. Ma sciogliendo Lazzaro “morto”, Gesù in verità scioglie ognuno di noi dal nostro egoismo. Gesù è la vita, è la nostra vita. Marta con delusione risponde a Gesù che sa bene che Lazzaro resusciterà l’ultimo giorno. Ma è lontano, quel giorno. E Gesù, che forse comprende la delusione di Marta, le risponde: “Io sono la resurrezione e la vita!” In queste parole è raccolto il segreto di questa pagina evangelica.

Gesù non viene a prolungare la nostra vita fisica, bensì a comunicarci la “vita”, ossia Lui stesso. Chi lo accoglie, accoglie in sé la vita. “Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà mai”, dice Gesù. Per questo, sorelle e fratelli, ancora oggi è possibile il miracolo di Lazzaro, ancora oggi è possibile che i morti risorgano, che i cuori freddi come ghiaccio si sciolgano e riprendano la vita divenendo dolci, teneri, amorevoli, come fu per Lazzaro, amico del Signore.

AUTORE: Vincenzo Paglia