Contributo per lo Statuto della Regione dell’Umbria (2)

15. L’azione amministrativa ed il sistema delle garanzie La regolamentazione statutaria dell’azione amministrativa e la previsione di adeguate forme di garanzia a tutela dei diritti individuali e collettivi costituiscono ulteriori tasselli di un mosaico ispirato ai principi dell’efficienza, della responsabilità e della non invasività dell’azione dei pubblici poteri. E’ dunque opportuno suggerire la previsione statutaria dei principi di riforma lentamente entrati a far parte del modo di agire delle pubbliche amministrazioni anche nel nostro paese. L’imparzialità ed il buon andamento sono stati infatti da tempo arricchiti con la previsione di altri ed impegnativi principi: da quello di distinzione tra le funzioni di indirizzo politico e le funzioni di gestione tecnica a quello di rispetto delle regole di mercato nella acquisizione delle risorse esterne; da quello di adeguatezza, a quello di partecipazione; da quello di preferenza per moduli di azione amministrativa di tipo negoziale a quello di trasparenza; da quello di semplificazione a quello di valutazione dell’impatto dell’attività regolativa. Non andrebbe trascurata l’ipotesi di sottoporre l’azione dell’amministrazione ad una sorta di onere della prova: a meno che la legge regionale non disponga diversamente, provando la sussistenza di ragioni che hanno a che fare con rilevanti interessi pubblici non altrimenti tutelabili, l’azione dell’amministrazione regionale si svolge in condizioni di parità rispetto agli interessi privati (individuali e collettivi) e con gli strumenti del diritto privato comune. In questo contesto trovano adeguata collocazione anche le necessarie previsioni statutarie in materia di Autorità indipendenti e, in particolare, di Difensore civico (6) regionale con le connesse garanzie di indipendenza. E’ in questione, infatti, la stessa identità del Difensore civico come autorità amministrativa indipendente. E’ questa infatti l’evoluzione più interessante che possiamo auspicare a tutela di un’organizzazione policentrica dei pubblici poteri, non tutti riconducibili (nel campo dell’azione amministrativa di tipo contenzioso o quasi totalmente riassumibile in valutazioni di ordine tecnico) agli organi di indirizzo politico. E’ quindi necessario garantire: a) l’indipendenza strutturale del Difensore civico nelle modalità di elezione; b) l’indipendenza funzionale nei poteri attribuiti; c) l’indipendenza organizzativa e finanziaria negli strumenti di organizzazione dell’ufficio. Per non avallare la tesi di molti sulla inutilità del Difensore civico è opportuno potenziare questo ufficio con apposite strutture e munirlo di poteri che obblighino la Pubblica Amministrazione regionale a tenere conto del suo intervento. In tema di rafforzamento dei poteri di intervento, si potrebbe devolvere al Difensore civico la fase stragiudiziale e conciliativa e ancor prima, in sede preventiva, attribuire allo stesso il potere di promuovere “accordi” tra i cittadini e la Pubblica Amministrazione regionale atti a prevenire i conflitti. Così operando, con la diminuzione del contenzioso giudiziario, verrebbe favorita la civile convivenza attraverso un Difensore civico concepito come “mediatore sociale”. E’ da escludersi tuttavia, considerata la natura dell’istituto, che l’ampliamento delle competenze in materia stragiudiziale possa essere esteso anche ai rapporti tra i privati. Deve essere attentamente valutata, infine, la proposta da molti avanzata di istituire un Organismo indipendente di garanzia che, a tutela della “rigidità” statutaria, verifichi la conformità delle norme di legge regionale alle disposizioni statutarie. Complesse questioni di ordine costituzionale conducono ad ipotizzare la natura puramente consultiva (e quindi l’assenza di poteri di annullamento) di questo organismo la cui attività dovrebbe essere collocata all’interno del procedimento legislativo regionale. I poteri di attivazione dovrebbero essere riservati all’opposizione ed al sistema delle Autonomie locali e funzionali. 16. Società civile, democrazia, sussidiarietà. Nella fase di ridefinizione degli statuti regionali determinante appare il modo con cui viene declinato il principio di sussidiarietà. Il principio di sussidiarietà tende a stabilire un ordine di competenze nella partecipazione responsabile delle persone, delle comunità, delle istituzioni alla vita sociale; è un principio che riconosce la priorità delle persone rispetto alle formazioni sociali e la precedenza della società rispetto allo Stato. Esso prevede da una parte la piena responsabilizzazione dei cittadini nella costruzione della società e dall’altra una funzione di coordinamento da parte dello Stato e del potere politico affinché le azioni dei cittadini, a qualsiasi livello, siano orientate la bene comune. Perciò il principio di sussidiarietà non coincide integralmente con le politiche di deregolazione né con la tendenza alla privatizzazione dei servizi. E’ tuttavia compatibile con il principio della separazione tra titolare del servizio (che resta il pubblico potere a tutela dei diritti sociali) e gestore del servizio (soggetto privato, di mercato o del Terzo settore) legato contrattualmente al pubblico potere, che può anche operare in condizione di quasi-mercato. La sussidiarietà si oppone alla centralizzazione dell’autorità pubblica (è un metodo ascendente di decentralizzazione: non si deve passare al livello superiore se non dopo aver verificato che il grado inferiore sia nell’impossibilità di assumere una responsabilità di questo ordine) non al suo ruolo di coordinamento. La sussidiarietà, se presa sul serio, richiede all’autorità pubblica un impegno per modificare la propria funzione: essa deve passare da una funzione di gestore dei servizi a quella di promotrice di servizi, sviluppando e stimolando l’iniziativa privata, ma nel tempo stesso non rinunciare al proprio compito di coordinatore delle esperienze e garante del bene comune. L’intervento dell’autorità pubblica nel campo dell’economia, tuttavia, non deve espandersi oltre i casi nei quali i meccanismi del mercato e la libertà d’iniziativa dei privati non possono utilmente operare a vantaggio dei bisogni e delle preferenze dei cittadini. Il rischio è infatti quello di “dilatare eccessivamente l’ambito dell’intervento statale in modo pregiudizievole per la libertà sia economica che civile”. Ad esempio “non potrebbe lo Stato assicurare direttamente il diritto al lavoro di tutti i cittadini senza irreggimentare l’intera vita economica e mortificare la libera iniziativa dei singoli” (Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Centesimus Annus, n.48). L’autonomia delle persone e dei gruppi sociali, rispetto ai pubblici poteri, non significa autarchia e anarchia; il potere politico deve ridurre il suo intervento a ciò che veramente è necessario, esercitando soprattutto un ruolo di coordinamento, favorendo l’iniziativa dei gruppi sociali intermedi. Il primo ruolo dell’autorità politica è rispettare e favorire la responsabilità propria delle persone e dei gruppi intermedi in nome del principio di competenza, in opposizione a ogni forma di statalismo. E’ necessario però che le persone e i gruppi sociali non si limitino a rivendicare diritti ma si assumano fino in fondo i propri doveri e le proprie responsabilità. Il principio di sussidiarietà vincola coloro che sono in autorità a rimanere entro il proprio ruolo e funzione, che è sussidiaria e non sostitutiva, ma vincola anche le persone e le libere formazioni sociali all’assunzione delle proprie responsabilità e competenze. In breve la sussidiarietà richiede che i cittadini usino i loro diritti e si assumano le loro responsabilità anche attraverso l’avvio di una capillare opera educativa. Il principio di sussidiarietà trasportato nella nuova organizzazione regionale significa riconoscere alle Autonomie locali e funzionali il maggior numero di compiti, rispettando il principio di adeguatezza. Questa nuova distribuzione delle funzioni (sussidiarietà verticale) non può esaurirsi nel valutare quale fra i possibili livelli pubblici sia il più idoneo a garantire l’intervento ma deve invece valutare se l’attività in questione non possa essere svolta, a parità di condizioni e di risultati, da soggetti privati come imprese, gruppi o operatori del Terzo settore (sussidiarietà orizzontale). In questa nuova prospettiva la Regione si trova ad avere funzioni necessarie e funzioni eventuali. Sono necessari i compiti, in senso lato, di “governo”, le funzioni di indirizzo, di programmazione e di controllo, non rinunciabili tanto più nel quadro di effettiva messa in opera di politiche di privatizzazione e di liberalizzazione dei compiti di gestione. Sono eventuali i compiti di gestione che, non diversamente allocabili, rimarranno affidati alla Regione. Tale soluzione implica una riduzione degli apparati regionali di gestione e la necessità di ripensare non solo le forme organizzative ma anche i profili professionali del personale, senza trascurare la capacità di assicurare modalità di lavoro attraverso l’acquisizione all’esterno di saperi mediante l’interscambio con i luoghi della ricerca presenti sul territorio (Università, Centri, Istituti). L’applicazione del principio di sussidiarietà comporta ricadute non solo sul piano organizzativo ma provoca riflessi diretti anche sul carattere dei processi decisionali. Il carattere policentrico della regione, caratterizzata da un diffuso reticolo di città medie o piccole, rischia di rendere assai problematica, soprattutto dopo l’elezione diretta del Presidente regionale e la non facile convivenza di quest’ultimo con i Sindaci, la guida dei processi di riordino dei poteri locali, almeno senza immaginare una partecipazione degli stessi enti territoriali ai processi decisionali (Consiglio delle Autonomie locali). Pare altresì necessario introdurre norme atte a garantire che l’azione regionale si conformi realmente al principio del rispetto dell’autonomia locale mediante l’introduzione di occasioni specifiche di verifica riguardanti le ipotesi di spesa effettuate direttamente dalla Regione. Una certificazione che attesti, prima della definitiva adozione dell’atto, le ragioni della scelta e la coerenza di quest’ultima con i principi che regolano il corretto rapporto tra i livelli di governo. Alle Autonomie locali, rappresentate in sede collegiale, andrebbero riconosciuti pareri obbligatori sugli atti di maggiore rilievo per il sistema locale come, ad esempio, quelli di bilancio. 17. La Regione ed i rapporti esterni La riforma dell’assetto costituzionale della Repubblica realizzata con la modifica del Titolo V della Costituzione richiede la regolazione (di fonte legislativa e statutaria) dei rapporti tra la Regione e le comunità politiche ad essa esterne. Pensiamo così ai rapporti tra Regione ed altre Regioni, ai rapporti tra Regione e Stato, ai rapporti tra Regione e Unione europea, ai rapporti tra Regione ed altri Stati ed, infine, ai rapporti della Regione con comunità substatali autonome. Si tratta di una necessità regolativa che scaturisce dalla nuova collocazione, costituzionalmente fondata, dell’autonomia politica regionale alla quale gli statuti debbono dare una risposta in termini di definizione dei principi e dei limiti di azione degli organi regionali (espressione del potere legislativo e di quello esecutivo). Una prima questione riguarda i rapporti tra Consiglio ed Esecutivo. La materia delle relazioni esterne deve essere regolata in modo da delineare un giusto equilibrio tra l’esigenza di ampliare le capacità decisionali, la rapidità e l’efficacia delle decisioni, cui provvedono il Presidente della Regione e la sua Giunta, e l’esigenza di garantire adeguate forme di controllo, che spettano al Consiglio regionale e, per quanto di sua competenza, al Consiglio delle Autonomie locali. Nella ricerca di questo equilibrio occorre definire una sorta di principio ordinatore che costituisca il punto di riferimento per la soluzione delle alternative di scelta che si pongono nella costruzione delle regole statutarie. Un principio ordinatore che, anche in questo campo, tenga conto dell’esigenza di superare i limiti degli assetti istituzionali vigenti. Questo principio ordinatore può essere individuato nella distinzione tra le competenze che riguardano la regolamentazione dei rapporti istituzionali – da una parte – e le competenze che riguardano l’azione nel campo dei rapporti economici e sociali – dall’altra – nel quadro di un riconosciuto primato dell’esecutivo (Presidente e sua Giunta) nell’esercizio dell’iniziativa in materia di rapporti esterni. In questo contesto andrebbe garantito uno spazio di intervento all’Assemblea legislativa nella definizione delle intese da stipulare tra Stato e Regione per l’eventuale ampliamento delle competenze legislative regionali, così come nella definizione delle regole che riguardano i rapporti con altre Regioni (nell’ambito delle quali è la stessa Costituzione ad imporre la legge regionale di ratifica delle intese raggiunte con altre Regioni), con l’Unione europea, con altri Stati e con comunità autonome all’interno di altri Stati (per la cui disciplina è previsto l’intervento della legge statale nell’ambito della legislazione concorrente). Viceversa nella definizione dell’iniziativa, nella conduzione dei negoziati e nell’approvazione degli accordi e delle intese a carattere economico sociale molto ampio dovrebbe essere lasciato lo spazio di manovra all’Esecutivo regionale. Lo Statuto regionale dovrà esprimere un’idea aperta e dinamica della gestione dei rapporti esterni, fondata su alcuni punti di riferimento generali (leale collaborazione in sede nazionale, rispetto del principio di sussidiarietà in sede comunitaria, enfasi sui processi di integrazione in sede internazionale) e sulla capacità di individuare le convenienze economiche e sociali legate alla costruzione di reti di collaborazione orizzontale (come nel caso dello sviluppo di sistemi economici territoriali che attraversano i confini amministrativi delle regioni). Allo stesso tempo dovrà riferirsi ad un’idea di Europa lontana dai rischi della centralizzazione e della burocratizzazione, un’Europa superpotere e non superstato, che scongiuri la “tentazione quasi naturale della verticalizzazione del potere” (41a settimana sociale dei cattolici italiani, I cattolici italiani e la nuova giovinezza dell’Europa, n.15). Alla realizzazione di questa idea di integrazione dovranno concorrere, nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale ed orizzontale, il sistema regionale delle autonomie locali, il sistema economico regionale, le associazioni, i gruppi sociali e le diverse comunità locali. Le politiche sociali18. Il nuovo contesto Particolare attenzione dovrà essere posta al ruolo ed alla funzione delle norme statutarie in materia di diritti sociali e di politiche sociali. Anche se le disposizioni statutarie non possono sostituirsi alle scelte di indirizzo che spettano ai governi regionali ed alle loro maggioranze, rischiando così di riprodurre la rigidità di alcune norme costituzionali, potrebbe essere utile esplicitare alcuni principi fondamentali che debbono essere posti come limite all’azione dei singoli governi. Tra questi andrebbero indicati: a) il principio della parità tra agenzie pubbliche, private profit e private no profit nella fornitura dei servizi pubblici; b) la tutela del settore no profit, senza pregiudizio della concorrenza intesa come forma primaria di tutela dei consumatori; c) la tutela dell’impresa e la promozione dell’impiegabilità (come garanzia del lavoro nel mercato); d) il principio del confronto aperto nei rapporti tra governo regionale ed organizzazioni di interesse. La tutela di questi principi richiede la comprensione della crescente complessità dei processi in atto nella società in generale e in quella umbra in particolare. Più precisamente sono tre le grandi trasformazioni da prendere in considerazione: il mercato del lavoro, il nuovo welfare, il processo di ridistribuzione dei poteri istituzionali. Il nuovo mercato del lavoro si qualifica ormai per il primato del lavoro indipendente e individuale (imprenditoriale, autonomo, atipico etc.) caratterizzato da crescente qualificazione, nuovi saperi, grado di conoscenza delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nuove modalità di organizzazione del lavoro basate sull’autonomia e sul possesso di risorse relazionali, capacità di adattarsi e disponibilità a cambiare più volte il lavoro nella vita. I Servizi per l’Impiego, trasferiti alle Regioni e alle Province, ancora prevalentemente gestiti con schemi mentali e organizzativi ispirati al primato del lavoro dipendente, dovranno essere pensati in funzione del ciclo del lavoro che avanza. Dovranno cioè produrre interventi di sostegno sempre più individualizzati che mantengano e se possibile aumentino il patrimonio di conoscenza e di saperi delle persone. Tale evoluzione chiama in causa il sistema formativo e scolastico regionale e in particolare il programma dell’offerta integrata tra istruzione e formazione professionale così come ridisegnato dalle più recenti riforme legislative. L’intensa stagione di regolamentazione del nuovo walfare (sanità, servizi socio – assistenziali) si è sostanzialmente conclusa e si è entrati ora in una fase di responsabilizzazione progressiva della Regione e degli Enti locali nonché della società civile. Gli obiettivi di fondo da perseguire sono: a) assicurare a tutti i diritti di cittadinanza; b) superare ogni logica assistenziale per promuovere politiche d’inserimento tese al raggiungimento della massima autonomia degli individui; c) perseguire il concetto di salute (perfetto equilibrio fisico, psichico e relazionale), come definito dall’Organizzazione mondiale della Salute; c) promuovere la responsabilizzazione delle Autonomie locali e dei cittadini e realizzare il massimo di complementarità tra i soggetti pubblici e privati (sussidiarietà orizzontale) valorizzando le reti familiari e parentali, i diversi soggetti della società civile (Parti sociali, associazioni di volontariato, Terzo settore) e i presidi periferici dei grandi settori d’intervento sociale (Autonomie scolastiche, universitarie, sanitarie, Fondazioni bancarie, etc.). 19. I diritti sociali Alla luce di quanto sinteticamente enunciato si possono individuare i principi in materia di organizzazione regionale del walfare e dei servizi pubblici nonché di relazioni tra gli Enti territoriali e la società civile locale che dovranno essere introdotti nello Statuto regionale. A riguardo dell’organizzazione regionale e specificatamente dei rapporti della Regione con le Autonomie elettive, con le Autonomie funzionali, con le Forze sociali e l’associazionismo, due possono essere le linee d’azione alternative: a) quella che ritiene sia giusto procedere adottando un modello piramidale e burocratico tutto organizzato intorno alla filiera verticale delle istituzioni rappresentative e onnicomprensive; b) e quella che, invece, vede l’istituzione regionale principale protagonista del processo di gestione poliarchica e a rete dei poteri, aperta alla collaborazione e alla sburocratizzazione dei rapporti con i cittadini, le famiglie e le altre istituzioni, in particolare con le Autonomie funzionali, i soggetti sociali intermedi, le imprese sociali del territorio per tutti i fattori d’intreccio tra produzione, lavoro e sociale. Tutti soggetti che vanno coinvolti con la massima responsabilizzazione ed autonomia nella definizione, gestione e verifica delle politiche di walfare in modo che si favoriscano e si promuovano le azioni di autotutela delle fasce più forti, si rafforzino le azioni di sostegno per i bisogni più gravi, si favorisca un mix tra interventi formali e informali, tra pubblico e privato. Tale seconda linea d’azione risulta essere la più appropriata: a) perché la nuova legislazione sociale va nella direzione del modello poliarchico di gestione; b) per rispondere più efficacemente alle esigenze di collegare i poteri alle attese e ai bisogni dei cittadini specialmente per quanto riguarda quei servizi di base che direttamente incidono, territorio per territorio, sulla qualità e coesione di vita collettiva; c) per rispondere alle crescenti richieste di differenziazione della domanda e dell’offerta (d’impiego, di formazione, di tutela socio-assistenziale) che sollecitano un’intensificazione e diffusione delle competenze e delle capacità a livello territoriale; d) per ridurre il pericolo di accentuazione della conflittualità verso il basso che nasce proprio dalla maggiore prossimità dei nuovi poteri affidati alle Regioni con gli altri soggetti istituzionali territoriali.