Martedì 4 febbraio presso la cattedrale di San Lorenzo di Perugia si sono svolte le esequie di mons. Carlo Urru. Il giorno seguente, martedì alle ore 15.30, alla presenza di numerosi fedeli e la partecipazione di tutto il clero diocesano, si è svolta la concelebrazione presso la cattedrale di Città di Castello presenti mons. Sergio Goretti, mons. Giuseppe Chiaretti e mons. Pellegrino Tomaso Ronchi. Qui pubblichiamo il testo del saluto di mons. Ronchi e dell’omelia pronunciata dal vescovo Goretti.Cari fratelli e sorelle, è con cuore commosso, ma gioioso, che celebriamo questa Eucaristia di lode e di ringraziamento alla santissima Trinità per il dono del vescovo Carlo Urru, pastore buono e saggio della nostra diocesi dal 1982 al 1991. La nostra Chiesa, pure nel dolore della separazione terrena, è nella gioia perché sa che in Paradiso ha un altro vescovo che intercede per noi tutti e ci protegge. Al termine di questa celebrazione, come da suo esplicito desiderio, mons.Urru verrà tumulato in questa “sua” cattedrale dove già riposano, in attesa della risurrezione finale, altri suoi santi predecessori. La Chiesa tifernate lo ringrazia per la dedizione e l’amore forte, e delicato allo stesso tempo, con cui, come pastore l’ha guidata e sorretta, e per la grande testimonianza di semplicità, di serenità, di povertà. A motivo di una salute cagionevole, ha percorso un calvario lento e faticoso, con una forte coscienza della fragilità umana, guardando unicamente al Signore Crocifisso e Risorto, ma sempre con pazienza e umiltà, senza mai lamentarsi. E’ morto lucido fino alla fine, rispondendo, anche solo con l’espressione degli occhi, ai gesti di affetto e di pietà che, a gara, sacerdoti, parenti e fedeli, hanno voluto donargli nell’ultima tappa della sua esistenza. A nome della diocesi, esprimo viva gratitudine a mons. Sergio Goretti, figlio di questa diocesi, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e presidente della Conferenza episcopale umbra, che presiede questa liturgia esequiale. Un grazie, altrettanto cordiale, a mons. Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, il nostro metropolita, il quale ieri sera nella Cattedrale di Perugia ha presieduto una solenne concelebrazione con tutti i vescovi della regione e alcuni della Sardegna. A lui il nostro grazie anche per la generosa ospitalità nel suo vescovado a mons.Urru in questi ultimi anni, coadiuvato nell’assistenza dal suo vicario generale mons. Mario Ceccobelli. E’ pure con noi mons. Ivo Baldi, vescovo di Huaraz nel Perù, anche lui tifernate. Impossibilitato dall’essere presente fisicamente, mons. Pietro Fiordelli, vescovo Emerito di Prato, ha inviato un messaggio molto bello. Saluto e ringrazio vivamente le Autorità civili e militari qui convenute o che si sono rese presenti con telegrammi.Cari amici, in questo momento avvalori la nostra preghiera di suffragio per “Don Carlo” la Vergine Madre di Cristo: lei che per prima gli ha dato il benvenuto il giorno del suo ingresso in diocesi nel Santuario di Canoscio, ora lo accolga maternamente nell’ultima e più felice dimora. In una lettera del 18 giugno 1992 mons. Urru, rispondendo al mio invito a celebrare in questa cattedrale il suo 50’di ordinazione sacerdotale, così mi scriveva: “Le sono riconoscente per il suo invito e, in attesa di rivederci in Cattedrale il prossimo 28 giugno mi rifugio presso Nostra Signora del Transito per ottenere misericordia. E in Lei, Eccellenza carissima, saluto e venero tutto il Presbiterio e il buon Popolo di Dio, che incessantemente benedico”. Grazie, don Carlo! ‘Pellegrino Tomaso Ronchi vescovoL’omelia di mons.GorettiCome è stato ricordato, circa dieci anni fa, mentre lasciava, per raggiunti limiti di età, la guida di questa sua Chiesa, mons. Carlo Urru davanti a tutti, con semplicità e spontaneità, espresse questo desiderio: “Riservatemi un posto nella cripta della cattedrale”. Ritengo che in quel momento abbia provato gli stessi sentimenti che ebbe Abramo, quando capì che il Signore gli chiedeva di lasciare tutto, casa beni amici, e di affidarsi a lui per andare nel paese che gli avrebbe indicato. Ritornava nella sua Perugia, nella chiesa che lo aveva allevato ed educato nella fede e che lui aveva servito con amore e fedeltà, ma il suo cuore restava qui in questa chiesa che lo aveva avuto pastore, in questa cattedrale da cui aveva annunciato il Vangelo, vicino ai suoi figli che aveva amato con cuore di padre. Oggi, nella sofferenza del distacco, siamo lieti di esaudire questo suo desiderio e di averlo ancora con noi, vicino ai suoi venerati predecessori. Mi piace che la sua salma sia accolta da questa notevole presenza di popolo e dalla partecipazione delle autorità civili. Nei confronti di un fratello così prezioso, chiamato dal Signore a svolgere compiti e ruoli di particolare importanza, abbiamo innanzi tutto il dovere del ringraziamento. (…) Mons. Urru accoglieva con bontà e fermezza, ascoltava con rispetto e trepidazione, comunicava la saggezza che gli proveniva dalla sua vita di preghiera e dalla sua forte fede in Cristo, ed era ricambiato dalla fiducia e dalla confidenza di chi ricorreva a lui. Personalmente ho un ricordo che ha inciso nella mia vita. Ero assistente della Giac a Città di Castello, quando mons. Urru indisse a Perugia, presso la Casa S. Cuore, una tre giorni regionale. L’Azione cattolica attraversava una fase difficile. Il Presidente che era succeduto a Carlo Carretto e che aveva portato una ventata di novità e di entusiasmo, fu costretto alle dimissioni. Lo smarrimento fu grande. Qualcuno per non compromettersi si nascondeva, qualche altro reagiva con vigore e perfino con violenza, molti si chiudevano nella sofferenza. Ricordo la linea di condotta che propose don Carlo e che può essere così riassunta: non giudichiamo cose che non conosciamo bene; la Chiesa va amata con passione e dedizione non solo nelle ore liete e serene ma anche in quelle oscure e difficili; ora c’è solo una domanda da porci e a cui rispondere: “cosa ci chiede il Signore?”. C’era tutta la saggezza dell’uomo di fede. Anche da vescovo ho potuto constatare il profondo rapporto di confidenza e di fiducia che mons. Urru era riuscito a creare con quei giovani che aveva condotto al ministero ordinato. Diversi sacerdoti della regione hanno continuato a far riferimento a lui per consigli, sostegno e guida spirituale. Nel 1971 il Papa nomina mons. Urru vescovo di Ampurias e Tempio Pausania. Ritornava così nella terra dei suoi antenati. (…) Dopo 11 anni il Papa lo chiamò a Città di Castello, a questa vostra e mia Chiesa. Ciò che ha fatto nei nove anni che è stato in mezzo a noi è ben noto e io non oso commentarlo, poiché lo conoscete meglio di me. E’ stato l’operaio della vigna che ha lavorato dalla prima ora fino al tramonto. Come pastore ha camminato davanti a noi per indicarci la strada, ma non ha disdegnato di mettersi anche al nostro fianco per mostrarci amore e simpatia e perfino di starci dietro per aiutarci a superare incertezze e difficoltà. E’ stato il pastore che ha guidato tutto il gregge al pascolo, che ha avuto cura sia delle pecore forti e sane come di quelle ferite malate smarrite. Riconoscenza ancora maggiore dobbiamo a mons. Urru per ciò che è stato. Talvolta il Signore, misteriosamente, ai suoi discepoli riserva lunghi periodi di sofferenza. E’ il tempo della prova e della conferma. E’ facile servire il Signore quando si ha salute, vigore e giovinezza. E’ duro invece quando si è inchiodati nella solitudine di un letto, non si ha più la capacità di comunicare e si sperimenta perfino l’umiliazione di doverci affidare in tutto e per tutto agli altri. Ogni volta che ho visitato mons. Urru mi ha commosso lo splendore del suo sorriso, la luce dei suoi limpidi occhi, simili a quelli di un bambino, la serenità con cui affrontava l’infermità. Dobbiamo riscoprire l’importanza delle persone che si uniscono alla missione della Chiesa con la preghiera e con l’offerta silenziosa e nascosta, che accettano di essere crocifissi come Cristo. Ovviamente non possiamo rinunciare al dovere di annunciare il Vangelo, poiché il Signore ci ha dato questa missione da compiere, ma nemmeno possiamo dimenticare che il vero conduttore della Chiesa e della storia è Dio, che la parte principale ed essenziale resta salda nelle sue mani e che noi, senza di Lui, non possiamo far nulla. Quale eredità ci lascia mons. Urru? Mi limito a questa considerazione. Occorre riscoprire la centralità di Cristo. Non possiamo limitarci a dare a Dio qualche piccolo spazio della nostra giornata o qualche angusto angolo del nostro cuore. Neppure possiamo ridurci ad ammirare la sublimità e la bellezza del Vangelo. La fede è molto più di una semplice dottrina. E’ un vivere con Cristo, per Cristo, in Cristo, sia quando viviamo come quando moriamo. Questo principio vale soprattutto per noi ordinati. Siamo stati scelti, chiamati e inviati. Possiamo indicare Cristo, se Lui non ha preso possesso di noi? Possiamo dire, come fece Cristo con i discepoli di Giovanni Battista, “venite e vedete”, se il Figlio di Dio non è da noi adorato, amato, custodito come il tesoro più prezioso e servito con tutte le forze? Possiamo incantare gli altri, se noi non siamo incantati da Cristo? Non si può dimenticare che il mondo di oggi, spesso ripiegato in maniera idolatrica sui beni terreni, disorientato da un diffuso e progressivo oscuramento dei valori morali spirituali, attende profeti che siano testimoni di ciò che annunciano.
Pastore buono e saggio a servizio della diocesi dal 1982 al 1991
AUTORE:
Sergio Goretti