La significativa riduzione delle parrocchie nella diocesi Spoleto-Norcia, discussa e approvata nell’ultima riunione della Commissione sinodale del 27 gennaio scorso a Roccaporena, è un fatto ecclesiale e come tale va accettata e condivisa. Alla base di queste scelte, certamente non indolori, ci sono diverse ragioni. L’età media del clero, ormai al limite (se non oltre) del pensionabile, le frazioni di molti comuni che seguono la stessa sorte dei sacerdoti, il contesto sociale in gran parte mutato hanno imposto una riflessione seria e ponderata da parte dei sinodali su questo scottante tema. Con la scarsità di sacerdoti in cui versa la Diocesi non è più pensabile un servizio minuzioso e radicato sul territorio come nel passato. Fino a ieri quasi ogni paese aveva il suo sacerdote, più di una chiesa, una serie infinita di feste e di tradizioni religiose, che scandivano tutto l’anno liturgico e solare. Ora le frazioni languono, ridotte in lunghi periodi dell’anno, per numero di abitanti, a raggruppamenti di casolari. Non è più immaginabile che si possa continuare con lo stesso servizio pastorale a queste piccole comunità come una volta, sebbene esse siano tutt’oggi profondamente ancorate alla tradizione, e perché no ?, alla fede. Al pastore d’anime oggi viene chiesto lo stile missionario, cioè di rendersi presente con un costante giro pastorale settimanale o quindicinale e secondo necessità per non abbandonare quella fiammella, che è vacillante ma non ancora spenta. Non si possono lasciare in balìa di se stesse queste straordinarie realtà, che hanno dato e danno ancora tanto in testimonianza cristiana. Nello stesso tempo i fedeli dovranno fare un coraggioso sforzo per andare a cercare le risposte alle proprie esigenze spirituali laddove la Chiesa porrà i nuovi punti comunitari di riferimento. Le ‘nuove’ parrocchie saranno punto di incontro di due attese diverse (servizio dei sacerdoti e comunità parrocchiale di zona), unificate da una Persona, che è Cristo. Pur comprendendo e accettando tutte le ragioni di questa ‘necessaria’ rivoluzione, non ci si può nascondere l’amarezza che c’è dentro. Chi è chiamato a vivere questo trapasso ricorda con nostalgia il ruolo centrale, nei piccoli paesi di montagna, della figura del prete, delle chiese frequentate dai fedeli sinceramente più che nei grandi centri, delle tante, tantissime feste con processioni, messe cantate e benedizioni varie, accompagnate sempre da pranzi e rinfreschi. La festa era il momento di aggregazione di tutto il paese, la festa era desiderata e il culmine dello sforzo organizzativo di santesi o delle varie confraternite. Belle, veramente belle le feste in onore della Madonna o dei Santi, che erano la vita del paese! Ora il mondo, anche quello cristiano, viaggia diversamente e bisogna prenderne atto e occorre adeguarsi alle nuove situazioni, che piaccia o no. L’importante è che “con l’acqua sporca non si butti via anche il bambino”, che, in parole fuori metafora, non vada perso il contenuto della nostra fede, la sequela del Cristo. A margine di questa nuova impostazione, c’è un problema serio da risolvere: come conservare il ricco patrimonio artistico che si concentra nelle chiese? Chi se ne farà carico? Un sacerdote, da solo, potrà accudire o seguire i tanti edifici sacri che pullulano in tutta la Montagna? Non dimentichiamo che i fedeli del posto, anche se pochi, tengono ancora molto alle proprie chiese e al proprio campanile, che, comunque, restano ancora oggi punto indiscutibile di riferimento. Ad essi, ai fedeli, verrà chiesto di farsi carico e custodi di una testimonianza storica di grandissimo valore culturale e religioso.
Diminuiscono le parrocchie per mancanza di sacerdoti
Per seguire la Messa i fedeli saranno costretti a spostarsi nella più vicina parrocchia
AUTORE:
Gianfranco Flamini