Il Vangelo di questa domenica, tratto dal capitolo 5 di Matteo, è una parte del Discorso della montagna, che Gesù rivolge ai discepoli e alla folla che lo seguiva, e al quale l’evangelista dà un grandissimo rilievo, facendone di fatto una magna charta del cristiano. È il discorso delle Beatitudini, che potremmo definire la legge che supera i comandamenti dell’Antico Testamento e costituisce i principi di riferimento per ogni uomo. Questo brano è immediatamente successivo alle Beatitudini, ma a esse strettamente collegato.
Anche nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, sentiamo riecheggiare il discorso delle beatitudini seppure nel linguaggio dell’Antico Testamento. Il profeta disegna il profilo di un uomo di Dio, di un Giusto: “Dividi il pane con l’affamato; accogli nella tua casa i miseri e i senza tetto; vesti chi non ha vestiti; non opprimere il tuo prossimo; non puntare il dito per giudicare; non usare un linguaggio improprio; consola e consigli gli afflitti nel cuore…”. Oggi Gesù Cristo ci chiede, attraverso la Chiesa, di proseguire la sua opera come fece già con i discepoli e con le folle che lo seguivano. Senza abbattersi, anche nelle difficoltà, seguendo il suo esempio, cercando di assomigliargli, senza scoraggiarsi o deprimersi per i propri difetti. Se facciamo nostro il brano delle Beatitudini e viviamo secondo quella “carta di santità” allora siamo “sale della terra”, “luce del mondo”, “città posta sul monte”, “lucerna accesa sul lucerniere”.
Cosa significa per una famiglia vivere secondo le Beatitudini, cercare di mettere in pratica le parole del profeta Isaia? Significa sicuramente non chiudersi a riccio all’interno del proprio mondo caldo e sicuro, cercando di evitare i guai del mondo. Non è questo il modello di famiglia che ha in mente Gesù. La famiglia che ha in mente Gesù è aperta all’accoglienza. Certamente, prima di diventare una famiglia aperta, occorre diventare una famiglia, e per farlo non basta una firma su un foglio o una promessa scambiata. Occorre vivere giorno dopo giorno, sperimentando le Beatitudini all’interno della coppia e con i figli: la pazienza, la mitezza, il perdono.
La famiglia che ha trovato la sua forza è però chiamata a diventare “sale della terra”, aprendosi all’accoglienza dei più sfortunati non con una apertura casuale o secondo l’ispirazione del momento. Se viviamo in un determinato luogo, non è un caso. Apriamo gli occhi allora! Quali sono i problemi del pezzettino di tessuto sociale che ci circonda? I problemi delle persone che abitano intorno a noi? Quali sono le povertà dei nostri quartieri? Talvolta sono povertà materiali, in alcuni casi lo sono certamente. Ma oggi molto spesso i “miseri”, i “nudi” gli “affamati”, gli “afflitti” sono categorie diverse da quelle di un tempo. Oggi siamo circondati da giovani “affamati” di verità, disorientati da un pluralismo informe di messaggi e da un assolutizzazione del relativismo che li porta spesso a essere “miseri” di valori, di idee e talvolta perfino di sentimenti. Molte famiglie, in cui i legami si spezzano troppo presto, atrofizzano i cuori dei loro componenti.
Oggi non dobbiamo farci ingannare dai bei vestiti che portano le persone, perché chi non è rivestito di bontà e di giustizia è nudo. Oltre ai bisogni materiali c’è dunque un livello più arduo e impegnativo che ci aspetta. Di fronte al quale una famiglia da sola può forse poco, ma collaborando possiamo rispondere alla chiamata a essere sale, a dare sapore, cioè la vera conoscenza, a chi ci sta intorno. Ma anche il sale può perdere il sapore. È un impegno che va scelto ogni giorno, quello di non perdere sapore: per farlo, dobbiamo fare incarnare in noi la Parola attraverso l’ascolto e i sacramenti. Dobbiamo costituire dei gruppi di famiglie perché insieme ci si sprona a vicenda e vicendevolmente ci si avverte della mancanza di sapore. Domandiamoci costantemente: “Dò sapore alla mia vita e a quella di chi mi sta intorno?”.