In questo mese tre nostre diocesi celebrano il santo patrono: Ponziano a Spoleto (14 gennaio), Feliciano a Foligno (24 gennaio) e Costanzo a Perugia (29 gennaio). Il primo, aitante diciottenne; i secondi, valorosi vescovi. Tutti e tre martiri perché non hanno taciuto il Vangelo che aveva cambiato la loro esistenza. La loro testimonianza e quella di tanti altri martiri ha confortato e confermato le nostre Chiese nel discepolato del Signore. La loro memoria, patrimonio prezioso che le comunità custodiscono con orgoglio e affetto, rimane per la vita di tutti punto irrinunciabile di riferimento, e non cessa di ricordarci che coloro che fanno vivere davvero sono quelli che offrono la vita. I martiri ci insegnano che dobbiamo scegliere il bene e distinguere nettamente fra ciò che è bene e ciò che è male. Vi sono comportamenti concreti che sono sempre sbagliati, perché la loro scelta comporta un disordine morale, che ha conseguenze gravi sul piano personale e sociale. Ci insegnano che non tutto è contrattabile, che esistono valori che non hanno prezzo e non possono essere oggetto di scambio e di trattative. Penso ai beni della vita, della stabilità familiare, del diritto al lavoro, della giustizia e della pace, della libertà religiosa, nella sottovalutazione o nel misconoscimento dei quali risiede una delle cause più profonde della disintegrazione della comunità umana. Ci insegnano il valore della vera libertà: essere veramente liberi significa accogliere la Verità, e dunque la verità di Dio su cui poggia la verità della persona umana, di tutta la persona e di ogni persona. Il martire viene ucciso perché rifiuta di assoggettarsi a un potere diverso da quello che trova la sua giustificazione nel giudizio della coscienza morale. Anche i nostri tempi registrano, purtroppo, una sconcertante e violenta persecuzione contro i cristiani. Durissime le azioni anticristiane in India, Cina, Indonesia, nelle Filippine, in Nigeria, in Egitto, nel Sud Sudan, in Siria, in Iraq, nella Repubblica Centrafricana e in altre regioni del mondo.
I discepoli di Gesù sono perseguitati a causa della loro fede: persone che spariscono, chiese devastate, sacerdoti uccisi, proprietà confiscate, interventi polizieschi di controllo e censura. Di fronte a questa situazione, non possiamo non unire la nostra voce a quella ben più alta e autorevole di Papa Francesco, che implora: “Tu, Signore della vita, proteggi quanti sono perseguitati a causa del tuo nome. Tu, Principe della pace, converti ovunque il cuore dei violenti perché depongano le armi e si intraprenda la via del dialogo” (messaggio urbi et orbi, Natale 2013). Non saremo probabilmente chiamati a imitare i nostri Patroni nel martirio cruento, che è la prova più eccelsa della testimonianza cristiana. Tutti però siamo chiamati al martirio incruento della professione quotidiana della fede, senza fratture tra il credere e l’operare, nella vita privata come in quella pubblica. Perché sono le opere che attestano e certificano il valore della testimonianza; se visibilità ci deve essere, ha da essere visibilità di persone più che di sigle, di azioni più che di parole, di comportamenti più che di proclami. Perché, quando la fede viene isolata in un angolo della vita e non incide, illumina e orienta tutti gli altri aspetti, allora inaridisce; la fede professata con le labbra deve esprimersi nella visione e comprensione del mondo e nel modo concreto di pensare e di agire: “Ricordiamolo bene tutti: non si può annunciare il Vangelo di Gesù senza la testimonianza concreta della vita – dice ancora Papa Francesco. – Chi ci ascolta e ci vede deve poter leggere nelle nostre azioni ciò che ascolta dalla nostra bocca” (omelia a San Paolo fuori le Mura, 14 aprile 2013).