Secondo un’indagine di una nota associazione di consumatori, quest’anno in Italia, una famiglia su cinque non ha fatto i regali per Natale. Al di là della formula retorica utilizzata per spiegare il calo dei consumi, in quell’affermazione c’è però un elemento importante su cui riflettere: i tradizionali regali che vengono solitamente scambiati a Natale hanno una radice profonda, che non può ovviamente essere banalizzata in una consuetudine d’affari ma è direttamente collegata alla gioia immensa di questa festa, alla nascita del Salvatore.
Ciò che sta alla base dei regali natalizi, infatti, non è una sorta di mercificazione degli affetti ma è la “cultura del dono” che, come ha scritto Benedetto XVI, “è lo specchio dell’amore ricevuto da Dio” e che scaturisce da una relazione gratuita ed unilaterale, da un atto di libertà e da un incontro autentico con l’altro. La cultura del dono è, dunque, prima di tutto, una “cultura dell’accoglienza” che si oppone a quella “cultura dello scarto” tanto volte stigmatizzata da papa Francesco. Un’accoglienza che si manifesta in modo mirabile nella figura di San Giuseppe e nella famiglia di Nazareth. Un’accoglienza silente e sapiente, obbediente e amorevole. Un’accoglienza che si prende cura degli altri senza pretese e con gioia autentica.
La memoria della santa famiglia di Nazareth è perciò un elemento insostituibile della gioiosa festa del Natale. Una gioia che, a ben guardare, non è incrinata solamente dalla perdurante crisi economica e dal calo dei consumi, quanto, piuttosto, da una mentalità collettiva sempre più diffusa che, negli ultimi decenni, e con maggiore insistenza negli ultimi anni, ha finito per svilire il Natale, derubricandolo a festa “secolare”, anestetizzandolo ed edulcorandolo in mille modi diversi, nei linguaggi e nei modi di viverlo, nei significati più profondi e nelle rappresentazioni tradizionali. Sono emblematiche, a questo proposito, le ricorrenti polemiche sui presepi nelle scuole.
Uno svilimento del Natale che, in definitiva, ha prodotto due risultati preoccupanti: prima di tutto, la perdita della gioia per il mistero dell’incarnazione; e in secondo luogo, la marginalizzazione della famiglia nella nostra società. Ciò che si è smarrito, in particolar modo, è il senso storico della famiglia di Nazareth. La quale non rappresenta certamente un archetipo narrativo o un residuo devozionista del passato, ma è, all’opposto, un modello concreto di amore coniugale e di collaborazione sponsale che si è perpetuato nella storia, di generazione e in generazione, fino ai giorni nostri. Basti pensare, per fare un solo esempio, alla carità coniugale testimoniata dai beati Luigi Beltrame Quattrocchi e Maria Corsini, una coppia di sposi che hanno vissuto il loro matrimonio come un cammino di santità e la propria famiglia come un luogo d’amore: un luogo d’elezione per donare sé stessi reciprocamente.
Mai come oggi, dunque, per superare una società individualista inquinata da una “cultura dello scarto” – che ignora i più deboli e i più fragili – è fondamentale riscoprire la “cultura del dono”. Una cultura che ci mette in profonda comunione con Dio e che trova nella famiglia un momento di sintesi eccezionale.