“Non guardare la vita dal balcone!”. Con queste parole Papa Francesco esortava gli studenti delle Università romane, incontrati il 30 novembre nella basilica vaticana. Li sfidava a scendere nella mischia e diventare protagonisti degli accadimenti contemporanei, nella vita concreta, dove ci sono situazioni “che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno”. In quella basilica Papa Francesco aveva davanti a sé gli uomini e le donne che a breve saranno chiamati ad assumersi ruoli di grande responsabilità nella società, come padri e madri di famiglia, come lavoratori, dirigenti, responsabili dello sviluppo sociale, del mondo della politica e della vita della Chiesa. Purtroppo su quel balcone c’è ancora tanta, troppa gente. Scendere in piazza ed entrare in competizione fa paura per la disparità delle forze in campo.
La nostra società è strutturata in modo tale che il singolo che vuole esprimere la propria opinione e vuole diventare protagonista della vita della società ha scarse possibilità di farsi ascoltare, perché i canali della comunicazione sono impegnati nell’omologazione del “pensiero debole” che uniforma tutto e tutti. Papa Francesco ha indicato anche gli ambiti dell’impegno: lo sviluppo, la dignità delle persone, la povertà, i valori, che si possono riassumere con l’espressione di bene comune, tanto necessario per un sano sviluppo della società e una convivenza pacifica tra i cittadini. Ha ripetutamente incoraggiato i suoi ascoltatori ad andare controcorrente, manovra sempre faticosa ma necessaria per non venire schiacciati e annientati dall’onda anomala del conformismo e della omologazione al pensiero della maggioranza. L’esortazione del Papa a scendere dal balcone vale anche per tanti cristiani delle nostre comunità parrocchiali, che a volte sembrano più impegnati a demolire che a edificare. Il Papa spinge tutti a scendere in piazza e a mettere a disposizione della comunità i doni che lo Spirito santo ha deposto nel cuore di ogni battezzato. E proprio con questi doni, riconosciuti dal parroco dopo un serio discernimento, si edifica la Chiesa popolo di Dio, nata dalla Pasqua del Signore e chiamata a essere profezia dei cieli nuovi e della terra nuova. Papa Francesco, con il suo stile personale, sta svolgendo un ruolo educativo che dovrebbe essere un impegno di tutta la società adulta. Quali sono i modelli che vengono proposti oggi ai nostri giovani? Come mai manca una capacità di adattamento in presenza di situazioni che richiedono responsabilità e un minimo di sacrificio? Come mai si seguono le mode, anche le più ridicole, senza alcun intervento di critica e di giudizio? Perché non si riesce a sfuggire all’isolamento provocato dai nuovi gingilli dell’elettronica? Perché mancano le attitudini all’ascolto, alla condivisione, all’accettazione? La vita oggi è una sequenza di tempi brevi o brevissimi, perlopiù inquadrati nell’àmbito dell’effimero, che prima o poi, purtroppo in molti casi, conducono verso un tunnel di non-ritorno con drammatiche conseguenze per i singoli e per la società. Sollecitate anche dalle parole del Papa, le coscienze possono ritrovare un bàndolo per scendere dal balcone, uscire da cieche situazioni di passività e di indifferenza, afferrare un filo d’Arianna per districarsi da un labirinto che sembra senza uscita. E il filo d’Arianna è la parola del Vangelo, la sola, che cercata e abitata, può restituire l’orientamento e la fecondità della vita.