Custodire l’umanità. I temi trattati al convegno

Immagini dal convegno “Custodire l'umanità”
Immagini dal convegno “Custodire l’umanità”

«Papa Francesco ricorda con molta insistenza che il Vangelo è seme di umanesimo nella storia. Bisogna che riemerga questa potenza umanizzante del Vangelo per il mondo di oggi e il Convegno di Assisi, con i suoi numerosi e autorevoli relatori, offre questa forza umanizzante del Vangelo in preparazione del V Convegno nazionale della Chiesa italiana dedicato al tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” , che si terrà a Firenze nel novembre 2015». A dirlo, a margine della sua “lezione inaugurale” (il testo integrale della relazione), è stato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, intervenendo all’apertura del Convegno “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”, che si è tenuto il 29 e 30 novembre a Santa Maria degli Angeli in Assisi (Teatro Lyrick). Il convegno era poromosso da Conferenza episcopale umbra (Ceu), Progetto Culturale della Cei, Università degli Studi e per Stranieri di Perugia.
Il tema scelto per questo importante evento culturale, ha evidenziato il cardinale, «riprende quanto il Santo Padre Francesco ha annunciato all’inizio del suo Pontificato, e che richiama alla Chiesa universale con parole e azioni».
«Come discepoli per grazia, ma anche in quanto persone, siamo chiamati a prenderci cura dell’umanità là dove vive – ha proseguito il presidente della Cei –. Ci si addentra n

elle periferie – termine riccamente evocativo – non con una strategia di assalto, ma con la temperatura del cuore. Siamo qui per questo: ogni altra ottica sarebbe offensiva. Ma che cosa sono le “periferie”? Da un punto di vista sociologico sono i luoghi fuori dal “centro” della città; in senso più ampio, lontani dal potere, dagli apparati delle decisioni. Ma, intermini  più radicali e universali, le periferie sono i luoghi e le situazioni di lontananza dal centro più profondo dell’umano che è la verità, l’amore, la giustizia. Quando si vive vicini a questo centro allora si è centrati, e le altre distanze sociologiche diventano secondarie. Viceversa, quando siamo decentrati rispetto al bene e alla verità, all’amore a alla giustizia, allora vivere nel centro del potere, del successo, della salute, non cancella il nostro essere dolorosamente periferici rispetto a ciò che vale».

Alla sessione di apertura del Convegno sono intervenuti, oltre al cardinale Angelo Bagnasco, l’arcivescovo di Assisi e vice presidente della Ceu mons. Domenico Sorrentino, il vescovo di Città di Castello mons. Domenico Cancian, delegato Ceu per la Commissione regionale dei Problemi sociali e il Lavoro, la Giustizia e la Pace e la Salvaguardia del Creato, e Vittorio Sozzi, del Progetto Culturale della Cei.
Mons. Sorrentino ha evidenziato che «custodire l’umanità tocca il nostro vissuto, ha a che fare con le nostre preoccupazioni più radicali e le nostre speranze più vive, e ci spinge a misurarci senza paura con il rischio che forse per la prima volta l’umanità corre in modo così vasto e globale: quello di smarrire la sua identità». Interessante il riferimento del presule al  Cantico delle Creature di san Francesco da cui si sviluppa anche quell’orizzonte attuale sul creato. «Un cantico che è una preghiera di grande profilo umanistico – ha detto mons. Sorrentino – è posto nell’inclusione tra due prospettive umanistiche, che inseriscono la contemplazione della creazione dentro una cultura del dono e una cultura della speranza di cui abbiamo assolutamente bisogno per custodire la nostra umanità».
E’ stato quindi mons. Cancian a sottolineare nel suo saluto il senso plurimo  del verbo custodire che «evoca chiaramente la dimensione contemplativa dell’uomo che trova la sua massima espressione in Maria».

«Custodire è anche accogliere con attenzione e rispetto – ha aggiunto mons. Cancian –, meditare e cercare di comprendere, essere consapevoli di avere in dono qualcosa di Santo e di sacro che non può essere perduto, trascurato, usato a piacimento, consumato secondo il principio narcisistico dell’usa e getta. Tale atteggiamento del custodire è riferito al Creatore, all’umanità specie dei più deboli e fragili, quelli che papa Francesco chiama le periferie esistenziali».

Sozzi ha ricordato come «l’impegno culturale della comunità cristiana non può mai limitarsi ad una semplice analisi sociologica o all’applicazione di categorie ideologiche, ma si caratterizza come vero e proprio servizio all’uomo: un servizio che rianima la speranza e apre prospettive impensate».

Facendo riferimento all’attuale momento di crisi che, come ha ricordato papa Francesco, sembra generare rassegnazione e pessimismo,  Sozzi ha sottolineato che «se la crisi è affrontata con un giusto discernimento può diventare momento di purificazione e di ripensamento dei modelli economico-sociali per recuperare l’umanità in tutte le sue dimensioni».

Nella seconda sessione della mattinata sul tema “Quale modernità 
post-secolare?” sono intervenuti  Andrea Riccardi, Salvatore Natoli e mons. Bruno Forte.

Andrea Riccardi docente di Storia Contemporanea all’Università di Roma Tre e già ministro della Repubblica,  ha proposto interessanti spunti di riflessione sul tema “I cristiani e la globalizzazione”.Il lungo processo  della modernità ha messo in campo le molte opportunità legate alla globalizzazione ma con esse le tante problematiche socio-economiche e culturali. «Un effetto della globalizzazione – ha detto Riccardi – è la crescita del senso individuale della vita, che ha allentato legami sociali e ha sradicato movimenti di massa. E’ la crisi di tante forme comunitarie e la forma normale di vita diventa individuale. Di contro si sviluppa l’insicurezza, il mondo appare multipolare».

Andrea Riccardi ha anche parlato di scontro di civiltà, dei rapporti con l’Islam, di altre globalizzazione che si sono verificate nel passato: «a sua maniera il cristianesimo nasce come globalizzazione al di là delle frontiere etnico-linguistiche-culturali». La globalizzazione è un avvenimento che non ha trovato i cristiani impreparati «nella globalità del Concilio ed extra  Concilio si comincia  a vivere con gli altri in un mondo complesso in cui matura una teologia positiva dell’altro – ha aggiunto Riccardi –. Nel Concilio c’è il ripensamento di quello che vuol dire missione per un cristianesimo in un mondo globale e diverso: estroversione oltre le frontiere tradizionali, il contrario di un arroccamento. La Chiesa è una globalizzazione fondata sulla comunione di fede. E’ connaturato al cristianesimo la prossimità umana fondata sulla gratuità, prossimità ai poveri, comunione tra le persone sono valori irrinunciabili.

Politiche della felicità: giustizia e beni comuni” è stato il tema trattato dal prof. Salvatore Natoli, docente di Filosofia teoretica all’Università di Milano Bicocca. «Il processo di secolarizzazione ha portato nella modernità europea ad una progressiva perdita di riferimento alla trascendenza. Oggi ci troviamo in un passaggio d’epoca che definirei secolarizzazione della secolarizzazione, dall’attesa della fine dei tempi si è passati al tempo senza fine cercando di rendere migliore il dimorare degli uomini sulla terra e verso il raggiungimento della felicità massima. Ma sono necessarie politiche finalizzate alla giustizia e beni comuni nel distribuire equamente la ricchezza e salvaguardare la terra. In questo contesto il cristianesimo è ancora attuale con il suo messaggio d’amore e di carità ed in questo riesce ad essere influente e su questa strada è il suo futuro possibile».

A chiudere la sessione è stato l’intervento di mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e apprezzato teologo, sul tema “Custodire l’umanità oltre l’utopia e il disincanto. L’umanesimo cristiano alla prova del post-moderno”.  Dal totalitarismo della ragione moderna alle ideologie nichiliste, il trionfo del soggetto e della ragione nel disconoscimento della trascendenza portano alla ricerca di vie altre per l’uomo nel rapporto con l’Assoluto, nella sua condizione filiale «la proposta dell’umanesimo cristiano – ha detto mons. Forte – s’incontra oggi con modelli diversi di umanesimo che ispirano tante opzioni speculative e stili di vita. Un primo modello è quello dell’umanesimo religioso aperto alla trascendenza  come condizione che rende autentica ogni esperienza religiosa e che va rispettata in ogni forma di ricerca del divino. Un secondo modello potrebbe essere quello aperto alle questioni ultime, ma non coniugate ad un’esplicita opzione di fede anche se aperte al dialogo e alla ricerca comune. Un terzo modello di umanesimo è costituito dal cosiddetto pensiero debole, cioè che si chiude pregiudizialmente alla possibilità del trascendente e alle domande che lo riguardano. Certamente la proposta cristiana si pone come critica nei confronti di questo pensiero».

«In questo la proposta cristiana si offre come un nuovo umanesimo – ha concluso mons. Forte – proprio per la sua forza di suscitare novità di vita nell’accoglienza del dono “dell’altro”. Ai cristiani è richiesta una perenne novità di vita, e con essi ai credenti di altre fedi, ai non credenti in ricerca, agli indifferenti. Nei loro confronti è richiesto uno stile di annuncio fatto di presenza irradiante nella fede e nella carità, tale da suscitare l’amore più grande senza violentare il cuore dell’uomo».

Alla prima sessione pomeridiana dedicata a “Economia e società”, sono intervenuti gli accademici Mauro Magatti, docente di Sociologia all’Università Cattolica di Milano, di Luigino Bruni, docente di Politica economica alla Lumsa di Roma, e Adriano Fabris, docente di Filosofia morale all’Università di Pisa.
Magatti ha aperto il suo intervento facendo un excursus sulla crescita economica dal secondo dopoguerra ad oggi, che «il processo di accumulazione, coinvolgendo nuovi strati sociali, ha virato verso una progressiva socializzazione». La corsa all’accumulazione, ha ricordato il docente, ha avuto già negli anni ’70 il suo culmine rispetto a un termine più lungo che era stato programmato. Da qui la crisi mondiale che oggi si vive. Oggi «la mera espansione finanziaria non può costituire la via principale dell’accumulazione capitalistica, ma è necessario un ampliamento della base produttiva, o meglio di creazione del valore. Un contributo importante dovrà avvenire da nuove forme di accumulazione sociale e culturale, ossia la cura dei luoghi e delle persone patrimonio di intelligenza e creatività da cui si può sprigionare quel nuovo valore di cui le società sono alla ricerca».

Bruni si è soffermato sul concetto della «custodia dell’umanità» che «oggi passa anche per certi versi soprattutto dalla custodia dei beni comuni». La sua relazione ha trattato, da una prospettiva economica, in particolare, «le peculiarità della custodia dei beni comuni, dove il rapporto più cruciale non è tanto né soprattutto quello tra le persone e i beni, ma i rapporti interpersonali per i quali è richiesta una razionalità più sociale e meno strumentale rispetto a quella oggi nelle scienze economiche».

Fabris ha incentrato il suo intervento sul denaro «come forma di relazione degli esseri umani fra loro» e come questo rapporto abbia modificato rapporti socio-economici. «Il denaro oggi – ha detto il docente – si è fatto virtuale, autoreferenziale: è uno dei modi in cui si attua l’autoaffermazione delle nuove tecnologie provocando conseguenze sbagliate e ingiuste». L’evoluzione in positivo dell’attuale crisi economica è nella critica dell’attuale modo di agire e «nel promuovere, attraverso il giusto uso del denaro, relazioni buone».

Nell’ultima sessione della prima giornata sono intervenuti Philip Jenkins, docente di Storia alla Baylor University (Usa), mons. Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico emerito di Aleppo, Franco Vaccari, docente e fondatore di “Rondine-Cittadella della Pace” (Arezzo) e l’ambasciatore palestinese a Londra Manuel Hassassian, docente di Scienza politica all’Università di Betlemme.

Il professor Jenkins ha sostenuto che, «per quanto riguarda le situazioni di conflitto e violenza del mondo contemporaneo, prevalentemente situate nel Medio Oriente islamico, ma anche nell’Asia orientale, si prospetti un possibile futuro di pace e di parallela diminuzione dell’estremismo. Ciò attraverso l’europeizzazione dell’Islam in corso, visibile anche nel mutamento della concezione della donna che, combinata con un processo di secolarizzazione, condurrà nel breve termine alla riduzione di violenza e conflitti. Questa secolarizzazione incrementerà però, nel lungo periodo, individualismo e atomizzazione della società».
«Nei conflitti in cui lo scontro sarà tra le ambizioni degli Stati, da una parte e la difesa dei diritti dell’ individuo e delle comunità dall’altra – ha evidenziato il docente statunitense –, i gruppi e le istituzioni religiose giocheranno un ruolo fondamentale affrontando il bisogno urgente di definire e difendere questi diritti. In ciò i cristiani  troveranno una causa comune con le altre fedi, inclusa l’Islam. Il conflitto si trasformerà dunque in una sfida culturale non violenta tra valori religiosi e valori secolari».

Mons. Nazzaro ha ripercorso le tappe della storia siriana riportando l’esperienza vissuta in prima persona a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Egli ha messo in luce come le varie culture religiose avevano imparato a convivere come «figli della stessa patria con tradizioni diverse» fino al marzo 2011. Mons. Nazzaro ha sostenuto che «i conflitti scoppiati in seguito alla Primavera Araba non siano da considerarsi una guerra civile tra musulmani e cristiani, come risulta il più delle volte dall’informazione dei media, ma piuttosto una guerra tra l’esercito e le frange di al-Qaeda».
L’ambasciatore Hassassian, ricollegandosi all’intervento del professor Jenkins, ha manifestato il proprio ottimismo per quanto riguarda la risoluzione del conflitto arabo-israeliano, «a condizione che la pace non venga imposta come “diktat” da parte di Israele come avvenuto in passato, ma come effettiva trattativa mediata dall’intervento dell’Unione Europea».

Il professor Vaccari ha portato l’esperienza costruttiva di pace di “Rondine”  intervenendo sul tema “Guarire le relazioni per giungere alla pace”, in particolare soffermandosi sulle tante “periferie del mondo”. «Non solo nei territori di guerra – ha evidenziato Vaccari –, ma in ogni società succedono crescenti disarticolazioni ad ogni livello sociale cultuale, politico, umano, della relazione e quindi la disarticolazione del tessuto sociale crea milioni, miliardi di periferie e il cuore e la mente diventano deserto piano piano, si desertifica l’umanità. Dobbiamo costruire una cultura nuova della relazione con l’altro e dentro questa relazione forte, la persona si può ritrovare, esprimere il dolore, superare il conflitto e ricostruirsi».
Soffermandosi poi sul concetto che «la relazione ha un aggettivo forte, che è la custodia», Vaccari ha detto: «noi a “Rondine”, infatti, viviamo un laboratorio di custodia reciproca quotidiana: i giovani che vengono qui dai luoghi di guerra accettano la sfida per vedere se lontano dalla propaganda che avvelena il cuore e la mente possono custodirsi reciprocamente, da nemici diventare amici. L’israeliano accoglie alla stazione il palestinese e lo porta a Rondine come suo custode e viceversa. Questa è l’esperienza che dice che la strada di una relazione ricompresa ed educata è la via per la risoluzione di ogni tipo di conflitto».

Alla relazione di Vaccari è seguito un breve ma significativo intervento di un giovane israeliano ospite di “Rondine”, che ha affermato: l’esperienza di convivenza é riuscita ad abbattere il «muro non solo fisico ma anche mentale» che divide gli israeliani dai palestinesi, portandoli entrambi e considerarsi semplicemente come amici.

SECONDA GIORNATA
La prima sessione era dedicata ai destini delle utopie del Novecento e alla famiglia con i contributi di Lucetta  Scaraffia, docente di Storia Contemporanea all’Università La Sapienza di Roma,  Roberto Volpi, statistico e saggista, e  Adriano Pessina, docente di Filosofia morale all’Università Cattolica di Milano.

Scaraffia ha affrontato il tema della rivoluzione sessuale come crisi di un’utopia e uno degli effetti della secolarizzazione e dei cambiamenti della morale legata alla sessualità:  “E’ stata una delle trasformazione più grandi in Occidente, un cambiamento che ha inciso sulla morale sessuale, abbandonando  quella cristiana verso altre vie. Sono cambiati molti da allora i rapporti tra i sessi, le modalità del concepimento separando la procreazione dalla libertà della vita sessuale”. Una delle conseguenze maggiori di questa rivoluzione è stata a scapito della famiglia: “ Liberi da ogni morale sessuale, la famiglia orienta le sue scelte in modo diverso specie in riferimento ai figli, che sono voluti e si sceglie quando farli nascere ritenendo che i figli voluti crescono meglio, guardando  quindi alla qualità rispetto alla quantità.

Cresce una propaganda armonistica a favore dalla coppia e della famiglia, che considera il cattolicesimo contro la felicità umana.  Oggi possiamo dire che erano ideologie infondate e troppo sbandierate e gli effetti propagandati non si sono verificati per la famiglia e le difficoltà hanno colpito le famiglie disagiate”. In conclusione gli aspetti positivi di questi grandi cambiamenti: “Oggi si possono affrontare i problemi sessuali con maggiore serenità – ha detto Scaraffia – si ha un maggiore rispetto delle ragazze madri, il rispetto per il corpo femminile e la condanna di ogni forma di violenza sulle donne.  La Chiesa ha chiarito meglio la sua posizione su questi temi e operato per il bene dell’essere umano”.

Della questione antropologica familiare si è occupato Volpi tracciando un quadro storico sociale della famiglia tradizionale che ha espresso il massimo della sua forza nel periodo dal secondo dopoguerra alla fine degli anni Sessanta. “Tutti si sposavano in giovane età – ha detto Volpi – e in chiesa. La famiglia era lo strumento per farsi strada, era fatta di grandi progetti, per aspirare a un futuro migliore. Era biglietto d’ingresso nella società adulta,  uno strumento con cui aggredire la realtà. Non si aspettavano traguardi per costruire la famiglia, ma semplicemente si andava”. La situazione attuale sembra invece portare ad una rivoluzione fallimentare della famiglia, passata da un atteggiamento sociale di tipo aggressivo a difensivo. E i numeri parlano chiaro con la decrescita demografica, con l’invecchiamento della popolazione dove 1 persona su 6 s trova nella fascia tra gli 0 e i 17 anni mentre  12 milioni sono gli over 65 su un totale di 60 milioni. “Una famiglia stanca e decrepita dove mancano i ragazzi che sono il collante delle famiglie con la società – ha detto Volpi -. Si è scavato un fossato nella concezione della famiglia sulla quale pesano quattro elementi: il divorzio sulle trasformazioni della famiglia, l’università di massa, la forte terziarizzazione dell’economia e il bassissimo grado di mobilità sociale  specie in Italia. Sono cresciute le famigli uni personale al 30 per cento  e calano le coppie con figli il cui modello è quello prevalente del figlio unico”.

Una riflessione sull’uomo come capitale umano posto al centro del mercato biotecnologico che permette nuove forme di benessere personale è stato il tema dell’intervento di Adriano Pessina. “E’ impensabile conservare l’uomo così, perché il dibattito sul potenziamento dell’uomo si salda ormai con il superamento della condizione e della natura umana – ha detto Pessina -. In questo s’inserisce la possibilità per l’uomo di progettare la propria vita, il desiderio di un benessere che porti alla felicità ma che stride con l’insoddisfazione della condizione umana di oggi. Le  modifiche  genetiche, le migliori intelligenze aiutate dalla scienza che dipendono dal mercato portano sempre più ad un soggettivismo solipsistico. L’uomo deve fare i conti però con la propria finitezza. Del resto il finito e l’infinito si sono riconciliati nella persona di Cristo e questa è la sola strada del nuovo umanesimo”.

Alla seconda sessione dedicata a “L’uomo, l’arte e il sacro” hanno relazionato mons. Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore (Firenze), e  Sergio Givone, docente di Estetica all’Università degli Studi di Firenze.

Mons. Verdon ha proposto una riflessione sulla «funzione dell’arte sacra cristiana» a partire dagli affreschi di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi. Giotto, che rappresenta l’epoca in cui l’espressione artistica era indissolubilmente legata alla sfera cristiana, ci propone l’uomo Francesco come colui che «pregando percepisce nel cuore la forza del linguaggio divino». Linguaggio divino che si fa pane e si confonde nel «puzzo dei bassi fondi dell’Urbe» nella famosa Vocazione di San Matteo del Caravaggio: il linguaggio dell’artista è «efficace come indagine religiosa» per quanto sconcertante per il pubblico cristiano dell’epoca. L’arte va quindi verso la visione di Cristo «come l’anti-eroe» per eccellenza (Rembrandt), Colui che va a cercare l’uomo nella sua «periferia esistenziale». Ma, col passare dei secoli fino alla società odierna, «il genere umano, reso insensibile dal benessere, immobilizzato dai piaceri», reputa «politicamente scorretto e addirittura offensivo» realizzare opere che facciano chiara allusione a Cristo (Wallinger) o alla fede in genere. Ma ciò che di fatto emerge dalle opere degli artisti di oggi è una «ricerca spirituale focalizzata sull’uomo ma paradossalmente priva di Dio» (Viola), in cui «traspare tuttavia, anche se in maniera confusa, la sete di salvezza, la fame di senso e di vita vera». «La Chiesa – ha concluso mons. Verdon – con la sua millenaria tradizione di bellezza, deve andare incontro all’uomo» e noi cristiani siamo chiamati a «rispondere a quanti sperano da noi qualcosa dell’arte del vivere evangelico».

Givone ha ricordato come «a partire dai secoli  XV-XVI il processo di secolarizzazione sembra allontanare l’arte dal sacro. Se in passato “la penna dei profeti riusciva ad intingersi nell’essenza del divino”, successivamente l’uomo ha dovuto confrontarsi con la natura, come dimostra la teoria di Galileo Galilei riguarda alla «secolarizzazione della Natura». Nel contempo, ha sostenuto il docente, «emergono teorie e tecniche che ripropongono un’ idea dell’arte in cui il sacro ricopre un ruolo preponderante: la tecnica della prospettiva lineare, a partire da Masaccio, la teoria vichiana del singolo, la poetica di Bach del contrappunto ( l’arte della fuga), ma anche in epoca contemporanea nella visione del sociologo Adorno, nello scrittore Joyce e nell’artista Kandinskij».

La prima sessione del pomeriggio “Per un bilancio del cattolicesimo politico in Italia”, ha visto intervenire due docenti universitari di Storia contemporanea, Ernesto Galli della Loggia e Agostino Giovagnoli.

Galli della Loggia ha fatto un excursus storico dell’impegno dei cattolici italiani nella vita politica e istituzionale del Paese dal Risorgimento ad oggi, evidenziando il loro fondamentale contributo nei momenti più difficili della storia d’Italia. Inoltre, non ha tralasciato anche i momenti molto forti di tensione tra la Chiesa e gli stessi cattolici impegnati ad iniziare, come l’ha definito lo stesso docente, dal «padre unico della Repubblica italiana, Alcide De Gasperi».
Galli della Loggia ha ricordato l’impegno, universalmente riconosciuto, dei cattolici e della stessa Chiesa italiana nella Resistenza al nazifascismo, definendo la Chiesa «socio fondatore della Repubblica». Soffermandosi sull’odierna società italiana «corrotta fino al marciume», lo storico ha sostenuto che «per rimuovere questo marciume occorre mettere insieme uomini di buona volontà, piuttosto che riorganizzare un partito cattolico».
A margine del suo intervento, Galli della Loggia ha sostenuto che: «non si costruisce la politica sulla fede, ma la fede può produrre l’entusiasmo necessario per animare la politica che si costruisce intorno a delle ideologie e a dei valori».

Giovagnoli ha centrato il suo intervento sul bene comune alla luce del magistero di papa Francesco che «ha sviluppato un originale riflessione sul tema dell’amicizia politica, quale via privilegiata per realizzare una dinamica di sviluppo al servizio di tutti per contrastare la conflittualità esasperata favorita dall’individualismo consumista».
«Nell’ottica del bene comune – ha evidenziato Giovagnoli –, il contributo dei cattolici si è sviluppato in forme diverse nelle varie fasi della storia italiana, contribuendo alla formazione di una comune coscienza nazionale nel periodo risorgimentale. Nel secondo dopoguerra, i cattolici hanno assunto in modo prioritario l’impegno per il bene comune con una politica inclusiva sotto il profilo economico, sociale e culturale. Negli ultimi decenni tale azione si è progressivamente indebolita all’interno di una più generale crisi della politica nel contesto della crescente conflittualità».
«Oggi i cattolici – ha concluso il docente – sono chiamati ad impegnarsi non nell’ottica di una crescente esasperazione dei conflitti, ma al servizio di una vasta visione strategica per un’azione condivisa nel perseguimento del bene comune nazionale ed internazionale».

Alla Sessione conclusivaL’Occidente e il mondo contemporaneo. Analisi e prospettive”, coordinata da Giovanni Maria Vian, direttore de «L’Osservatore Romano», sono intervenuti il professor Fabrice Hadjadj, scrittore e filosofo, che ha relazionato sul “potere tecnologico e povertà evangelica”, offrendo ampi spunti di riflessione sull’odierna «crisi radicale dell’umanesimo», e l’arcivescovo mons. Gualtiero Bassetti, presidente della Ceu e vice presidente della Cei.
Mons. Bassetti, nel «tirare le fila» del Convegno, non ha esitato a definirlo straordinario e sorprendente: sia per la qualità degli interventi, che per la grande risonanza di pubblico che ha avuto questo convegno. Per questo motivo non posso che iniziare ringraziando calorosamente tutti i relatori e il pubblico numerosissimo che è venuto qui ad Assisi anche da fuori regione e che ha dimostrato, in questa due giorni, un’attenzione costante: ho notato che moltissimi scrivevano prendendo appunti e sono tantissimi coloro che ci hanno già richiesto gli atti».
«Voglio ringraziare anche tutte le associazioni e le realtà ecclesiali della regione che hanno aderito con entusiasmo a questa iniziativa – ha proseguito il suo intervento mons. Bassetti il cui testo integrale è consultabile sul sito www.chiesainumbria.it –. Un’iniziativa complessa e molto impegnativa che è stata realizzata grazie allo sforzo progettuale di alcuni giovani intellettuali supportati, con grandissima partecipazione e competenza, da un gruppo di giovanissimi volontari, per lo più studenti, che hanno dato tutto se stessi per il successo di questa iniziativa. E ringrazio, infine, non certo ultimo per importanza, il Signore che ha permesso tutto questo. Che ha fatto sì che, attraverso percorsi inattesi e inesplorati, per due giorni, qui ad Assisi, alcuni tra i più importanti intellettuali laici e cattolici del nostro Paese, e non solo, si incontrassero e dialogassero intorno alle parole di papa Francesco: “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”».

«Questo incontro – ha evidenziato il presule – è il frutto di un’assunzione di responsabilità da parte di quanti hanno la piena consapevolezza di vivere all’interno di un eccezionale e delicatissimo periodo di transizione storica. Oggi, stiamo vivendo un momento di passaggio epocale, caratterizzato da profondi mutamenti culturali, geopolitici ed economici che, velocemente e bruscamente, stanno ridisegnando la geografia morale e culturale del mondo in cui viviamo. Molti degli interventi di questi giorni sono partiti proprio da questo assunto di fondo».
«La grande narrazione del tempo presente – ha detto mons. Bassetti – è caratterizzata dal paradigma della “crisi economica” a cui si aggiunge quello dell’agonia e del “declino” del mondo occidentale. Un declino, secondo alcuni ineluttabile, i cui effetti sarebbero sotto gli occhi di tutti: il rallentamento della crescita economica e l’aumento dei debiti pubblici degli Stati si legano, inesorabilmente, con l’invecchiamento progressivo della popolazione e con l’aumento di comportamenti antisociali. Il magistero della Chiesa cattolica ormai da anni insiste, giustamente, nel ritenere che alla base di questa lancinante crisi economica si colloca una profonda crisi morale dell’uomo moderno…, che vive in un indefinito e opprimente presente, con sempre meno consapevolezza del proprio passato e della propria storia e, di conseguenza, con sempre meno capacità di proiettarsi nel futuro.
«Uno dei fattori più inquietanti, preoccupanti e più drammatici di questa difficilissima crisi morale-economica – ha proseguito mons. Bassetti – è proprio questa rottura del patto tra le generazioni, tra i vecchi e i giovani, che di fatto sta scaricando dolorosamente il peso maggiore della crisi sui nostri figli e sui nostri nipoti. Nessuno di noi è immune da responsabilità. Ognuno di noi ha il dovere di domandarsi il perché di questa situazione».

«I dati pubblicati ieri dall’Istat sul tasso di disoccupazione giovanile in Italia – sottolineato il presule – lasciano sgomenti: il 41% dei giovani non ha un lavoro. È il dato peggiore dal 1977 ad oggi. Come non capire che dietro queste statistiche terribili si celano, non tanto e non solo dei dati economici, ma un drammatico vuoto esistenziale, una funesta rottura antropologica nel rapporto di scambio tra genitori e figli? Questa consapevolezza della crisi morale-economica della nostra società non deve, però, in alcun modo, farci perdere la speranza e farci distogliere lo sguardo dalla bussola della nostra vita, che è sempre indubitabilmente Cristo».
Poi mons. Bassetti si è soffermato sul «gesto che ha smosso la storia» nel 2013, le dimissioni di Papa Benedetto XVI, definendole «un gesto di cui non si può non sottolineare l’umiltà, la libertà e la fede profondissima. Un gesto a cui noi oggi guardiamo con ammirazione, devozione e gratitudine. Un gesto, dicevo, che ha mosso la storia, che ha aperto strade nuove e inaspettate, come l’arrivo di un nuovo pontefice “preso dalla fine del mondo” e che, tra le moltissime novità che si potrebbero sottolineare, ha preso, per primo, il nome del poverello d’Assisi, San Francesco. Questo tempo, dunque, non è soltanto un tempo segnato dalla crisi economica, ma è indubbiamente un tempo favorevole, è un kairòs, un tempo nel quale accogliere la grazia di Dio e i segni dei tempi di cui ci ha parlato il Concilio. Un tempo che va compreso e che non va demonizzato. Sia per i credenti che per i non credenti. Per la Chiesa questo tempo è, indiscutibilmente, il tempo dell’annuncio. Un annuncio autentico e vigoroso della bellezza del Vangelo. Un Vangelo annunciato ad ogni persona, ai malati e ai bambini, ai poveri e alle famiglie. Un Vangelo annunciato, prima di tutto, agli ultimi. Una Chiesa che non annuncia il Vangelo è, infatti, una Chiesa ritirata nelle stanze vuote di una mondanità spirituale che non produce frutto. Una Chiesa che evangelizza è, invece, prima di tutto una chiesa di popolo. E in questi due giorni, forse, abbiamo visto e toccato con mano questo popolo».

«Una chiesa che per sua natura, dunque – ha evidenziato ancora l’arcivescovo –, non può che essere missionaria e che, soprattutto, deve avere “le porte aperte” per “uscire verso gli altri” e “giungere alle periferie umane”. Verso quelle periferie dell’esistenza, in cui le povertà materiali si assommano alle povertà relazionali, e “verso quei luoghi dell’anima” – come abbiamo scritto nel messaggio iniziale di questo convegno – “dove ogni persona sperimenta la gioia e la sofferenza del vivere, nella speranza che l’umano, di fronte all’ascesa quasi inarrestabile della tecnica, ritorni al centro della riflessione e della convivenza sociale”».
«La Chiesa altro non è che il piccolo gregge – ha sottolineato mons. Bassetti avviandosi alla conclusione –, il popolo viandante lungo i sentieri del tempo, nella compagnia con gli uomini e le donne fratelli e sorelle, votato non al proprio tornaconto, non all’acquisizione di qualsivoglia posto di prestigio, di rendita, di potere: ma al servizio della promozione di tutto l’uomo e di ogni uomo, con sguardo di amore preferenziale rivolto a chi abita le “periferie esistenziali” del mondo moderno».
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Circa un migliaio sono stati i partecipanti (provenienti da undici regioni italiane) a questo evento culturale umbro di respiro internazionale per i relatori esteri che interverranno. Molto coinvolto anche il mondo dei media con più di cinquanta giornalisti provenienti da tutt’Italia e l’iniziativa del “Salotto delle interviste” a cura di alcuni direttori di testate giornalistiche in dialogo con i relatori.

Inoltre, la segreteria organizzativa del Convegno, evidenzia anche il grande interesse che ha suscitato il tema “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali” nelle Scuole superiori dell’Umbria (vi hanno partecipano circa 200 studenti di una decina di Istituti) e nelle Facoltà di Lettere e Filosofia e di Scienze Politiche dell’Università di Perugia.

Al termine della sessione sull’arte, sabato mattina  è stata presentata l’importante Mostra fotografica “Aure”, come contributo-testimonianza artistico al Convegno, dalla sua stessa autrice, la giornalista e documentarista polacca Monika Bulaj. Sono scatti dedicati ad importanti temi di ricerca quali: i confini delle fedi (mistica, archetipi, divinazione, possessione, pellegrinaggi, corpo, culto dei morti), minoranze, popoli nomadi, migranti, intoccabili, diseredati, in Asia, Europa e Africa.

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Resoconto tratto da www.chiesainumbria.it

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Il sito web del convegno: www.custodireumanita.it/

AUTORE: Riccardo Liguori e Elisabetta Lomoro Hanno collaborato Susanna Marini - Maria Laura Bedini - Giulia Bianconi