Dal Concilio Vaticano II in poi non è possibile ridurre il ruolo dei poveri nella vita della Chiesa a una vaga istanza morale. Se la Cei, con “Evangelizzazione e testimonianza della carità” (n.47) sostiene che “L’amore preferenziale per i poveri costituisce un’esigenza intrinseca del Vangelo della Carità”, Giovanni Paolo II lo ripropone nei contesti più diversi: in Vita consecrata, ad esempio (n. 82): “La Chiesa…con una vera opzione preferenziale si volge verso … gli oppressi, gli emarginati, gli anziani, gli ammalati, i piccoli, quanti vengono considerati e trattati come ultimi dalla società…”; da un Papa che sta parlando ai religiosi in altri tempi ci saremmo attesi altri temi.
“Che c’entra?” avrebbe detto qualcuno. C’entra, caspita se c’entra! Nessuno, tanto meno le suore di clausura, può vivere un vita ecclesiale decente a prescindere dall’opzione preferenziale per i poveri, perché essa “è insita nella dinamica stessa dell’amore vissuto secondo Cristo”.
Nel passato recente era questo o quel “Santo della carità” a fare discorsi del genere, e tutti mettevano mano al portafoglio e lo delegavano plaudenti a dar loro corpo, e nuove congregazioni religiose al servizio degli emarginati costruivano i benemeriti istituti che il tempo oggi ha bruciato. Ma in un passato meno recente, alludo ai secoli XII e XIII, erano i vescovi (soprattutto quelli dell’Italia centrale) che, nell’esercizio feriale del loro “mestiere”, accoglievano i poveri nelle loro Comunità.
Nullum oratorium sine hospitio, non è possibile aprire un luogo di preghiera se lì vicino non si apre un luogo d’accoglienza: con “piccole” (?!) leggi canoniche di questo tipo i vescovi dell’Italia centrale, con Ubaldo Baldassini in testa, nei secoli XII e XIII, crearono comunità ecclesiali che, costellate da una miriade di microiniziative di accoglienza (“hospitia“), si rivelarono solide e vivaci. Fra i due fatti c’era una relazione strettissima. Furono come la rama e l’ordito di una delle più robuste e capillari reti di accoglienza ai poveri che il mondo abbia conosciuto. Gli emarginati che rientrano nelle nostre chiese dalla porta principale. Non come sospiro del cuore e nemmeno come ruota di scorta, ma come motore di vita ecclesiale. È forse vietato sognare?