La liturgia di oggi ruota attorno al tema risurrezione. Tema assolutamente centrale alla fede cristiana: Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti (1Cor 15,20). Anche le due recenti celebrazioni, di Tutti i santi e dei fedeli defunti, ce lo rendono familiare. La prima lettura riferisce un episodio conosciuto generalmente con il titolo “La madre dei fratelli Maccabei”. Accadde un paio di secoli prima dell’altro, che ascolteremo dalla pagina evangelica. Il Secondo libro dei Maccabei, da cui la lettura è tratta, narra episodi delle pesanti persecuzioni greche contro gli ebrei.
I greci, che in quel momento dominavano il paese, avevano deciso di adottare una politica di assimilazione culturale. Ciò comportava anche l’accettazione dei culti pagani da parte dei giudei. Siccome l’offerta culturale dei greci era allentante, una parte della popolazione giudaica aderì al nuovo corso e si adeguò; ma la parte più sana resistette, andando incontro a ritorsioni: perdita del lavoro, confisca dei beni, schiavitù e anche tortura e morte. L’episodio in parola, che il narratore biblico assume come fatto emblematico della resistenza giudaica, si colloca in questo contesto storico. Colpisce il motivo di fondo che sostenne la resistenza di questa famiglia, composta da una madre e sette figli: la certezza della risurrezione. Particolarmente chiara fu la testimonianza del secondo fratello, che prima di spirare gridò in faccia al boia: “Dopo la nostra morte, il Re dell’universo… ci risusciterà a vita nuova ed eterna”.
Il terzo fu ancora più concreto, gli gridò che quelle sue membra, che lui stava straziando, le aveva ricevute da Dio e da Lui sperava di riaverle. Così tutti gli altri, inclusa la madre. Memorie di questi fatti circolavano ancora ai tempi di Gesù, soprattutto fra i resistenti alla dominazione romana. Non tutti però lo erano; né tutti erano credenti nella risurrezione. Tra essi si distinguevano i sadducei, politicamente legati ai romani, religiosamente “liberali” e soprattutto interessati agli affari. A differenza dei farisei, che accettavano come Parola di Dio l’intera Bibbia ebraica, i sadducei riconoscevano solo la Torah, ossia i primi cinque libri di Mosè. E siccome non vi trovavano scritta esplicitamente la parola “risurrezione”, sostenevano che non c’è risurrezione.
Su questo argomento i due gruppi, farisei e sadducei, erano in polemica aperta tra loro. E dato che quando si è in polemica ognuno cerca appoggi dove può, un gruppetto di sadducei si avvicinò a Gesù e gli espose il fatterello immaginario dei sette fratelli, mariti di un’unica moglie. Favoleggiarono dunque di sette fratelli, non precisamente fortunati, i quali morirono uno dopo l’altro prima della donna che ciascuno aveva dovuto sposare, in obbedienza a un precetto mosaico.
Domanda: alla risurrezione, di chi sarà moglie questa signora, visto tutti e sette l’hanno avuta in moglie? Alle nostre orecchie la cosa appare un po’ da ridere; non così per la loro mentalità; nelle scuole rabbiniche infatti si usava costruire esempi estremi, allo scopo di mettere alla prova l’acribia dell’in- terlocutore e conoscerne il pensiero. Del resto, il precetto mosaico, che imponeva di sposare la vedova del proprio fratello nel caso questi non fosse riuscito ad avere prole, rispondeva a un concetto di famiglia che riteneva la sua stabilità nel tempo come valore superiore alla monogamia.
La risposta di Gesù, riferita dai tre Vangeli sinottici pressoché negli stessi termini, va ben al di là del problemino presentato dai sadducei, che in fondo avevano richiesto solo un parere giuridico. Gesù, che porta il discorso su un piano molto più alto, così argomenta: nella presente realtà storica, un uomo sposa una donna per moltiplicare le generazioni e vedere la propria vita continuata nei figli. Nel mondo a venire invece, che è il “luogo” di quelli che Dio ha ritenuti degni della vita eterna, non c’è bisogno di ammogliarsi o di maritarsi, perché non si può più morire. Poi allarga e approfondisce ulteriormente il discorso: poiché essi sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Nel linguaggio del tempo, essere figli della risurrezione voleva dire appartenere al mondo dei risorti. Chi è risorto per la potenza dello Spirito di Dio, non può più morire, a somiglianza del Cristo. Ed è figlio di Dio perché Dio lo ha adottato, comunicandogli la sua Vita divina. Inoltre Gesù smonta anche l’affermazione secondo cui la Torah non parlerebbe di risurrezione. Nel libro dell’Esodo infatti si dice che il Signore è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe: i padri di Israele. Essi non sono morti, ma viventi in Dio e nel cuore del popolo.