Il Papa ha indetto la III assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, da tenersi in Vaticano, dal 5 al 19 ottobre 2014, sul tema “Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”. Uno degli aspetti sui quali riflettere in previsione di questo importante avvenimento è l’ormai imprescindibile binomio famiglia – mezzi di comunicazione. Quando si parla di “media in famiglia” non si tratta più soltanto di promozione o di salvaguardia da incoraggiare e promuovere o di compiti da svolgere. La presa di coscienza ecclesiale si fa più esplicita. Con questa formula lapidaria si afferma innanzitutto che i media fanno ormai parte integrante della vita familiare, e nel contempo si auspica che la vita familiare sia pienamente di casa nei media. Siamo ormai consapevoli del fatto che la famiglia si re-inventa dalla comunicazione e che la multimedialità diventa interlocutrice prioritaria di questo processo. Non si tratta, allora, di concedere da una parte qualcosa ai media e dall’altra di vincolarli con delle direttive ecclesiastiche. Non abbiamo un “manuale”; non si tratta cioè di una specie di “decalogo” da promulgare. Tuttavia, riconoscere l’arricchimento reciproco che media e famiglie si possono offrire vuol dire riconoscere anche le esigenze di rispetto mutuo delle parti coinvolte, con il chiarimento circa i rischi da superare. Il sottofondo o il contesto di questo dialogo è abbastanza facile da cogliere: se i media attirano notevolmente l’attenzione, la famiglia retrocede invece nell’interesse dell’opinione pubblica. Le famiglie potrebbero diventare le “senza voce” del mondo comunicativo odierno. Se i media fanno sentire senza fatica la loro voce, le famiglie si trovano più spesso alla periferia o addirittura fuori del fascino mediatico, come se il dialogo non riuscisse a procedere su un piede di uguaglianza reciproca.
È necessario arrivare a riequilibrare il peso della “parte debole”, coinvolgendo nel dialogo non soltanto media e famiglie, ma anche la stessa convivenza umana per il tramite dei responsabili civili. La piattaforma etica sembra essere la soglia migliore per questa cooperazione a tre. Sappiamo bene, peraltro, che un tale coinvolgimento ha bisogno di solidi argomenti da suggerire sia ai gestori dei media sia ai responsabili della cosa pubblica. È qui che nasce la domanda: che cosa possiamo fare come Chiesa? Già Paolo VI poneva tale pressante interrogativo: abbiamo davvero fatto responsabilmente qualcosa per venire incontro a questa urgenza? L’invito si precisa ulteriormente oggi: non basta qualche buona parola, ci vuole un impegno pratico che sappia misurare la posta in gioco e rispondervi adeguatamente. Se molto tempo è ormai trascorso da quando il Papa chiese maggiore impegno e più coraggioso coinvolgimento, non è detto che sia troppo tardi per tentare qualche passo concreto. Come far rientrare le famiglie nel dialogo vivo con i media? In questo campo, più che il mondo ecclesiastico, sono le famiglie stesse che ci vanno di mezzo. Si potrebbe allora immaginare una iniziativa specifica: perché non ipotizzare un Osservatorio media-famiglia? Esso, oltre alla riflessione sulle scommesse e sulle incognite del coinvolgimento delle famiglie nella comunicazione multimediale, potrebbe lavorare in collegamento con la base familiare tramite un apposito sito internet, dove le stesse famiglie potrebbero prendere la parola, sottoporre quesiti e dubbi, interrogativi e suggerimenti.