“Ripensare Perugia”, una città che dagli anni Novanta sta gradualmente scivolando a valle. L’invito a ripensare la città è stato rivolto a tutti i suoi abitanti, agli amministratori, alle istituzioni, alle fondazioni bancarie e alle associazioni varie da Giuseppe Capaccioni, presidente della Consulta del centro storico di Perugia, mentre l’immagine di quello che ha chiamato “smottamento a valle” è del prof. Roberto Segatori. Il docente di Sociologia dei fenomeni politici nell’ateneo perugino ha ricordato come negli ultimi 20 anni, con i grandi centri commerciali sorti in periferia, sono gradualmente “smottati a valle” anche molti uffici pubblici e luoghi di aggregazione, dai cinema alle librerie.
Delle “prospettive per lo sviluppo della città di Perugia” si è discusso in un forum promosso della rivista Obiettivo impresa della locale Camera di commercio. Particolarmente interessante l’analisi del prof. Segatori, secondo il quale a Perugia convivono una “città in nero” (quella che lucra su affitti non sempre regolari, sui soldi che girano per traffici illeciti, su interessi particolari e corporativi) e una “città che resiste” guardando al futuro e agli interessi della collettività. Fino alla metà degli anni ’80 Perugia ha avuto uno “sviluppo straordinario” con aziende innovative e internazionali come la Perugina e l’Ellesse, con la nascita della Regione e l’impennata di iscritti nelle due Università. Sono però cominciati anche i problemi di una acropoli “strozzata” e difficile da raggiungere con auto e mezzi pubblici.
C’era però – ha sottolineato Segatori – una classe politica che vedeva in anticipo e cercava di risolvere i problemi: sono così arrivati la Ztl, le scale mobili, gli ascensori e i primi grandi parcheggi. Poi è cominciato però quello “smottamento a valle”, frutto di una somma di interessi: grandi speculazioni immobiliari, ma anche l’interesse particolare dei tanti cittadini che si sono trasferiti nelle ville e nei nuovi appartamenti fuori città affittando agli studenti le vecchie abitazioni e anche le cantine, lasciandole così senza manutenzione. Gli abitanti dell’acropoli sono passati dai 24 mila del 1952 ai 10 mila di oggi.
Con il centro storico la città ha anche perso la sua identità. Sono rimasti gli anziani (barricati in casa), le commesse e gli impiegati che di sera scompaiono e gli studenti che – ha detto Segatori – si sentono “prigionieri” in un centro storico deserto. Ci sono poi anche delinquenti e spacciatori, ma il problema della sicurezza, non di oggi, è stato a lungo sottovalutato. “Nascosto, come la polvere sotto il tappeto” ha commentato Capaccioni. Perché è successo tutto questo? Perché – è stata la risposta secca di Segatori – “la classe dirigente degli ultimi 20 anni si è svegliata in ritardo”.
Tante le denunce e le proposte al forum coordinato dal giornalista Federico Fioravanti e al quale non ha potuto partecipare il sindaco Wladimiro Boccali impegnato in un’altra manifestazione. L’architetto Nicolò Savarese ha detto che la candidatura di Perugia a Capitale eurpea della cultura si basa su un progetto di “riuso” e recupero di edifici e spazi vuoti, favorendo e sostenendo la creatività e l’innovazione.
Alcune proposte concrete per “salvare l’identità della città e del suo centro storico” sono venute proprio dal prof. Segatori: dare spazio a innovazione e nuove tecnologie; favorire l’accessibilità in città riducendo il prezzo di parcheggi troppo cari e completando il Minimetrò; incentivare la manutenzione degli edifici pubblici e privati; rompere quella “separatezza” tra i perugini e gli immigrati, i nuovi cittadini. In questo senso ha invitato le associazioni imprenditoriali e di categoria a “contaminarsi” per “includere” e responsabilizzare quegli stranieri che hanno avviato attività commerciali e artiginali.
I problemi del centro storico di Perugia – ha detto il presidente della Camera di commercio Giorgio Mencaroni – sono comuni a tante altre città. Nel mondo tutto sta cambiando, anche i centri urbani. Come per le aziende, che non possono continuare a fare sempre gli stessi prodotti, anche per le città servono nuovi modelli urbanistici, con quella che ha chiamato “complicità” di tutti (cittadini, imprese e amministratori) perché è nell’interesse di tutti: di chi vive o vuole tornare a vivere nell’acropoli e di chi abita in periferia e nelle campagne.