Mi sono dimesso da presidente della Comunità di Capodarco dell’Umbria. Dopo sedici anni di onorato servizio. Ma di anni vissuti in comunità ne ho passati molti di più. Tre anni di rodaggio a Fabriano, 1971-74, nella comunità “La Buona Novella”. “La Buona Novella”: l’unico nome biblico che osammo sacrilegamente imporre a una nostra iniziativa; ce ne pentimmo subito, e non lo facemmo più. A Gubbio venimmo nel 1974, ci installammo nel convento di S. Girolamo e la gente prese subito ad amarci proprio come “Comunità di S. Girolamo”. Ma la costituzione giuridica della Comunità avvenne solo nel 1984, con il nome di “Centro lavoro cultura”, poiché, a mente del fondatore di Capodarco, don Franco Monterubbianesi, avremmo dovuto “trasformare in cultura tutto il lavoro sociale che le Comunità di Capodarco sparse per l’Italia vanno facendo nei loro territori”. “’Na parola!”: fu quello che il conte Tubetti, con la “r” arrotata come se fosse appena uscita dalla mola dell’arrotino, disse a un famoso capoccione eugubino, dopo che qualcuno lo aveva invitato a sporgere la veneranda e voluminosa testa fuori dal finestrino della sua Mercedes.
Ci fummo vicini, a quel traguardo utopico, quando lavorammo fianco a fianco con la didattica decentrata a Gubbio della grande università Lumsa. Poi fu a opera del peggio del peggio della disgraziatissima amministrazione Guerrini che il progetto Lumsa saltò in aria; e il suo grande protagonista, il prof. Raniero Regni, dimentico dell’ottima educazione ricevuta fin dai più teneri anni, populo plaudente prese a cornate l’assessore responsabile del misfatto. Ma chissà che ancora una volta l’araba fenice non risorga dalle fiamme! Anche per me, che alla partenza del progetto avevo dedicato almeno 8 anni di vita, quella dell’assessore fu una mazzata tremenda.
Presidente della comunità, che contestualmente abbandonava il nome “Centro lavoro cultura” e assumeva quello di “Comunità di Capodarco dell’Umbria”, lo divenni solo nel 1997. Per i primi tredici anni la presidenza era stata appannaggio di tre disabili: Silvana Panza, Sauro Magara e poi, per 11 anni, egregiamente, Francesca Bondì.
Ora lascio perché la situazione è difficile, sia sul piano interno che sul piano dei rapporti con il Servizio sanitario nazionale. Si sa, finché i Ceri corrono su strade regolari, la giustizia distributiva per tutte le spalle dei ceraioli in muta viene garantita. Ma sul monte no, sul monte il primo avvallamento dà una legnata alla spalla del ceppo destro davanti, la seconda buca la legnata la riserva alla punta sinistra di dietro… a chi la tocca, la tocca.
In questa situazione di difficoltà ho chiesto al mio presidente nazionale, don (o mons.?) Vinicio Albanesi, di prendere il mio posto. Nelle antiche guerre guerreggiate arrivava sempre il momento in cui le colubrine cedevano il posto ai cannoni. Il mio sarà un addio alla armi? Chi vivrà vedrà.