Quando, nella cattedrale di Assisi, Papa Francesco si è avvicinato a me, che stavo aspettando di incontrarlo, perché il mio Vescovo me l’aveva assicurato, alla sua domanda: “Chi sei?” ho risposto: “Sono il sacerdote più anziano, sacerdote da 75 anni, entrato nel centesimo anno di età (sacerdote di Foligno ndr)”. Quando gli ho detto del mio settantacinquesimo, Papa Francesco si è chinato su di me, mi ha afferrato la mano destra, e l’ha baciata. Ha detto qualche cosa che io non ho sentito, tanto ero fuori di me dall’emozione; e, ora, rimane in me una strana pace, quasi l’eco di una lunga vita, che si raccoglie in un punto, che annulla i ricordi di un secolo – forse il più tragico di tutta la storia – e si corona di una piccola sfera di luce, in lenta, ma inarrestabile dilatazione. Ho consegnato al Papa una lettera, dove, senza pretendere di appoggiarmi al carisma profetico battesimale, gli ho detto di essere certo che il mondo si sta muovendo verso la sofferta conclusione di una pesante deriva di valori, che lascerà il posto a un nuovo cammino. Quello che ho detto al Papa lo scrivo anche qui, perché aiuti a riflettere e a sperare chi vive in questo tempo, cercando di leggerne i segni.
La mia lunga vita, a servizio della mia Chiesa locale, ha conosciuto vicende, segnate dal contesto storico, che le ha rese pesanti e al limite del buio, però si è mossa sopra un sottofondo, che ha mantenuto intatte le ali della speranza. Il sottofondo è il messaggio di Fatima: è sceso dal cielo quando avevo tre anni (1917); ora, che ne ho quasi cento, considero un dono straordinario assistere all’inizio del suo compimento. Ci sono stati due segni, che annunziavano l’aggravarsi dei mali del mondo, perché gli uomini non avevano risposto all’invito di Maria alla conversione: le lacrime di Siracusa, le lacrime di sangue di Civitavecchia. Abbiamo perduto Gesù; i giovani non l’hanno ancora incontrato: sono, secondo un sapiente educatore, “una nuova generazione incredula”, che sta per prendere il posto di quella che si avvia al tramonto. Gesù non è nella famiglia, corrosa da devastanti crisi; non è nella vita sociale, dilaniata da insanabili disordini; non è nella vita politica, dove spesso le leggi sono in totale contrasto con quella della natura.
Ma ora c’è in vista una stupenda novità: non ci saranno più annunci di sventura. C’è una promessa di Maria: “Alla fine il mio cuore immacolato trionferà”. Questa promessa si sta avverando: da ora in poi ci saranno solo “segni di speranza”. Il primo segno è sotto i nostri occhi, carichi di stupore per quello che sta avvenendo: è un segno che riguarda la Chiesa e non poteva essere diversamente: la salvezza viene dall’alto e la Chiesa è la più abilitata ad accoglierla e a diffonderla nel mondo; una Chiesa che si sta liberando dalle scorie accumulate nei secoli della sua storia; una Chiesa nella quale è durata per secoli la convinzione che il papa fosse il successore dell’imperatore Costantino, mentre lo era di un umile pescatore; una Chiesa povera e dei poveri; direi, “una Chiesa di poveri”. Papa Francesco addita il “dio denaro” come la causa di tutte le iniquità, delle pesanti ingiustizie e del tarlo dell’egoismo, personale e collettivo, che spegne nei cuori e nei popoli il messaggio di Gesù.
Papa Francesco è il primo segno, che dà le ali alla speranza. Credo che ce ne saranno altri; forse prima che si concluda il centenario del messaggio di Fatima.
L’emozione dell’incontro mi ha trasferito nel mondo dei sogni, e forse ho solo sognato. Ma so che Dio, qualche volta, ha detto cose vere passando per la fantasia, che è, anch’essa, un terreno che gli appartiene.