Papa Francesco, pellegrino nella città di Assisi, ha voluto, attraverso il contatto diretto con la terra di colui di cui egli ha preso il nome, coronare la sua scelta. Ora quel nome si arricchisce di contenuti e diventa ancora più vero. Già ne conoscevamo le ragioni. Ora lui stesso ne è maggiormente consapevole, avendo constatato, come i moltissimi pellegrini che giungono qua da ogni parte del mondo, che quei luoghi parlano ancora e segnano la vita delle persone attraverso i messaggi che lì sono indelebilmente scolpiti.
Chi ha seguito l’itinerario del Papa e conosce anche solo i nomi dei luoghi riesce a comprendere la forza evocativa delle vicende della vita di Francesco. Storie lontane nel tempo che riescono a illuminarsi di nuovo ogni volta che vi si posa lo sguardo e il pensiero. Nella stessa scelta dell’itinerario papale si può scorgere in filigrana la tessitura del suo messaggio che, come un filo d’Arianna, potrebbe portare la Chiesa e il mondo fuori dal labirinto in cui spesso ci ritroviamo. Non basta, infatti, come ammonisce il Papa, avere “vergogna” come uomini e come cristiani per quanto sta avvenendo sotto gli occhi di tutti nel mondo e vicino a noi, facendo riferimento a Lampedusa e al Medio Oriente.
Il Papa che ha percorso questo itinerario come fa ogni pellegrino, ha portato con sé una bisaccia leggera che contiene solo l’essenziale: la Parola del Vangelo e il crocifisso di san Damiano. Qui ci sono tutti i due Francesco e Assisi. Questa è la vera spoliazione. Non semplicemente di cose materiali, ma della mondanità, dell’orgoglio, che è idolatria. Una Chiesa mondana si autodistrugge. Questa spoliazione è richiesta non solo ai preti e vescovi o al Papa: la Chiesa siamo tutti noi. È e deve essere uno stile di vita dei cristiani, non l’adorazione degli idoli che ci creiamo noi: una Chiesa che rifugge dalla mondanità, chiamata lebbra e cancro.
Papa Francesco dice queste cose con un soffio di voce, calmo, intenso, senza inflessioni. Le sue parole arrivano. La gente le sente e si commuove. Sono come brezza leggera diretta al cuore di chi ascolta. Come quando impone il silenzio e s’inginocchia assorto in preghiera. Ha uno stile popolare che ha il sapore dell’autenticità, della concretezza, dell’immediatezza. Non pensieri astratti che “strizzano il cervello”. L’assemblea vibra quando lui parla. Questa è la Chiesa che lui ha disegnato ad Assisi con i gesti e le parole, ricentrata sulla figura di Francesco, quello vero, non quello costruito dai media, quasi fosse un pacifista esaltato o un ecologista ante litteram sostenitore di “una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo”. Il discepolo del Signore cammina dietro a lui portando il suo giogo leggero. Così è Francesco e così deve essere ogni cristiano.
“L’amore dei poveri e l’imitazione di Cristo povero sono due elementi uniti in modo inscindibile, due facce della stessa medaglia”. Nell’incontro con un piccolo gruppo di frati in san Damiano ha detto, quasi scherzosamente, di non diventare “adulteri” tradendo Madonna Povertà. “Ma – si domanda Papa Bergoglio – da dove parte il cammino di Francesco verso Cristo?” e da dove deve partire il cammino della Chiesa? La risposta è quella storica e teologica insieme e senza fronzoli indica il crocifisso di san Damiano. Un’icona nella quale egli legge tutto il significato dell’esperienza francescana. “In quel crocifisso Gesù non appare morto, ma è vivo! Il sangue scende dalle ferite delle mani, dei piedi e del costato ma quel sangue esprime vita. Gesù non ha gli occhi chiusi, ma aperti, spalancati. Uno sguardo che parla al cuore… Chi si lascia guardare da Gesù crocifisso, viene ricreato, diventa nuova creatura”. all’incontro con il crocifisso nasce tutto, anche l’invito a rinnovare la Chiesa, spogliarla, perché sia autentica e libera, povera e per i poveri.
Una Chiesa che sa piangere per le vittime del naufragio, sa commuoversi per i segnati dalle piaghe di Cristo come sono le povere creature raccolte nel Serafico francescano, e si mette al loro servizio. Questo è il vero cristianesimo che non si corrompe con l’idolatria di ciò che produce ma si conforma con l’icona che ispirò Francesco d’Assisi al rinnovamento della Chiesa. In questa occasione si può dire che Papa Francesco ha compiuto un’immersione profonda in ciò che lui ritiene che debba essere il modello della Chiesa di oggi perché sia più vera e faccia diventare più veri gli uomini del nostro tempo. Si può parlare di rivoluzione, a partire dalla contemplazione delle ferite del corpo di Cristo che segnano le membra doloranti di quelle persone concrete in carne e ossa che sono le persone che il Papa ha abbracciato e dalle quali si è lasciato abbracciare e baciare. Non una rivoluzione ideologica o un cambiamento di leggi o regole disciplinari di comportamento, ma sentimenti profondi di umanità che scaldano il cuore e illuminano la coscienza. La Chiesa non si propaga per l’efficienza del proselitismo – “ma quale proselitismo” – ma nella forza irresistibile dell’attrazione. Questa forza è l’amore, “perché è l’amore del Dio incarnato e l’Amore non muore, anzi, sconfigge il male e la morte”.
Un accorato appello alla pace, nel “giorno del pianto”, una benedizione e una preghiera per l’Italia di cui san Francesco è patrono, un saluto alla patria di san Francesco, l’Umbria, che si è raccolta con tutte le sue istituzioni e una grandissima massa di cittadini e fedeli entusiasti e commossi, un caloroso abbraccio con migliaia di giovani hanno coronato un giorno che rimane storico per la Chiesa intera, perché Francesco è vescovo di Roma e Papa.