Una porta stretta, che diventa chiusa. È immagine che torna nei Vangeli, la porta. Con Luca, domenica, abbiamo appreso che la porta è certo un passaggio: lasciare un mondo per entrare in un altro. Ma attraversarla non è così semplice: “Molti cercheranno di entrare ma non ci riusciranno”, leggiamo; e “quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta”.
Qualche riflessione su queste parole. Gesù è in cammino verso Gerusalemme, verso la meta ultima, la sua “porta stretta” di obbedienza al Padre che gli chiede il sacrificio della croce per salvare l’umanità. Nel suo camminare, Gesù è interpellato da una persona: “Sono pochi quelli che si salvano?”. Domanda tipica di una disputa tra scuole rabbiniche, molto frequente ai tempi di Gesù, che nascondeva una questione fondamentale: il popolo di Israele, il popolo eletto, dell’Alleanza, avrebbe partecipato tutto al mondo futuro o la salvezza sarebbe stata riservata a pochi?
Le parole di Gesù sembrano una non-risposta, ma a leggerle bene si vede che innanzitutto è la persona a essere coinvolta: la porta stretta è quella che “ci fa entrare nella famiglia di Dio”, ha detto Papa Francesco all’Angelus. Ci fa entrare “nel calore della casa di Dio, della comunione con Lui. Questa porta è Gesù stesso”. Essendo una porta stretta, ecco il primo compito di chi la varca: occorre conformarsi a essa. Non è il numero dei salvati che conta, ci dice Gesù; importante, invece, è sforzarsi di entrare.
L’aggettivo “stretta” non si riferisce, dunque, all’ambiente, al numero delle persone che possono entrarvi, tanto che in Luca leggiamo: “Verranno da occidente e da oriente, da settentrione e da mezzogiorno, e siederanno a mensa nel regno di Dio”. Commenta Francesco: “La porta che è Gesù non è mai chiusa, è aperta sempre a tutti, senza distinzione, senza esclusioni, senza privilegi”. Possono varcarla tutti, la porta, non solo i figli di Israele. In Luca leggiamo ancora: “Vi sono ultimi che saranno i primi, e vi sono primi che saranno ultimi”.
Gesù non esclude nessuno, ricorda il Papa, nemmeno un grande peccatore: “No, non sei escluso. Precisamente per questo sei il preferito, perché Gesù preferisce il peccatore, sempre, per perdonarlo, per amarlo. Gesù ti sta aspettando per abbracciarti, per perdonarti”. Così, l’aggettivo “stretta” va letto nella giusta prospettiva, cioè di un impegno personale al cambiamento. Ma la salvezza non è un qualcosa che lo sforzo umano possa conquistare o meritare. Quel chiudere la porta da parte del Padrone è rivolto a noi quando ci mettiamo a dividere – con criteri nostri – i buoni e i cattivi, chi sta fuori e chi sta dentro, diventando giudici e dettando noi le regole. Quella parola, “stretta”, dice che non siamo noi a decidere, e che potremmo ritrovarci all’ultimo posto. Così Papa Francesco ci chiede di “non avere paura” a varcare la porta di Cristo, e di tralasciare invece le “tante porte che ci invitano a entrare promettendo una felicità che poi ci accorgiamo che dura un istante soltanto, e si esaurisce in se stessa e non ha futuro”. Ci chiede ancora di lasciare entrare Gesù “sempre di più nella nostra vita, di uscire dai nostri egoismi, dalle nostre chiusure, dalle nostre indifferenze verso gli altri”. La luce di Gesù “non è un fuoco d’artificio, non è un slash. No, è una luce tranquilla che dura sempre e ci dà pace”.
Essere cristiani “non è avere un’etichetta” e con quella porta stretta – “non perché sia una sala di tortura” – Gesù ci chiede “di aprire il nostro cuore a lui, di riconoscerci peccatori, bisognosi della sua salvezza, del suo perdono, del suo amore, di avere l’umiltà di accogliere la sua misericordia e farci rinnovare da lui”. Essere cristiani è vivere e testimoniare la fede nella preghiera, nella carità, nel promuovere la giustizia, il bene. Oggi c’è bisogno di un impegno per promuovere la giustizia e la pace. Come in Siria, dove i bambini profughi sono già un milione e dove il conflitto sembra non avere timore di prendere strade ancora più aperte alla violenza e alla morte di tanti innocenti.