Fu un dottore della Legge, ossia un esperto biblista; persona ben considerata, non solo per il suo sapere, ma anche per il potere che esercitava nella società giudaica del suo tempo. Era uso fra gli accademici del tempo esercitarsi con alcune questioni cruciali. Quello presentato oggi da Luca andò dal Maestro come per ingaggiare una discussione accademica; in realtà per metterlo in imbarazzo. Quella sottolineatura dell’evangelista, che scrive “si alzò” la dice lunga: non sembra uno che va a domandare per sapere, ma piuttosto per sfidare. E così comincia un gioco di domande e risposte: come si eredità la vita eterna? Chiede l’esperto. Contro-domanda di Gesù: che cosa dice la Legge, e come la interpreti? Risposta: ama Dio con tutto il cuore… e il prossimo tuo come te stesso. Conferma del Maestro: perfetto! Comportati così e avrai la vita eterna. Per un accademico non può finire così, troppo semplice.
Una corretta dialettica esige che si continui: “Chi è il mio prossimo?” chiede l’esperto. Ottimo procedimento; di quelli che possono far continuare a lungo un dibattito. Gesù, che non è un accademico, non raccoglie, ma la mette immediatamente sul concreto. “Un tale faceva la strada tra Gerusalemme e Gerico…”. Il resto è noto. Occasione per Gesù di rovesciare la questione posta dallo specialista. Per lui la nozione di prossimo è statica: tutti sapevano chi era il prossimo; la discussione verteva solo intorno ai limiti pratici della nozione: solo i parenti stretti, o tutto il clan, o la tribù o il popolo? Certamente non l’avversario, meno che mai il nemico. Per Gesù la nozione di prossimo è dinamica: “Chi ti sembra sia stato prossimo di colui che…?”.
In altre parole: non devi andarti a cercare chi è il prossimo, ma sei piuttosto tu che devi farti prossimo, ossia vicino, all’uomo che si trova nel bisogno. Si diventa prossimi di ogni uomo quando ci si avvicina a lui; quando si supera la distanza che ci separa. Il dottore della Legge – l’abbiamo visto – cerca di mettere Gesù in difficoltà. Siamo dunque in un contesto polemico. Ed è in questo spirito polemico che Gesù racconta la storia del “buon samaritano”. Non certo per caso delinea il modello di prossimo sotto i tratti di uno che, agli occhi del suo interlocutore, era esattamente il contrario di prossimo: un samaritano, vale a dire uno straniero, un nemico, un eretico.
Abbiamo avuto altre occasioni di accennare ai rapporti fra giudei e samaritani: a causa di antiche ruggini, c’era un vero odio ideologico, politico-religioso, e anche razzista, fra i due. Colui che si farà vicino all’uomo che giace ferito e sanguinante in mezzo alla strada è esattamente il contrario di un “buon Giudeo”. Eppure si avvicina, si ferma, cura le ferite, lo porta nella locanda, paga il conto; fa tutto il possibile per uno che gli era sconosciuto fino a un minuto prima, e che trova per caso.
Vale la pena fermarsi su qualche dettaglio narrativo: stiamo scoprendo sempre di più come Luca sia un esperto narratore. Non si parla dello scopo del viaggio del samaritano; ma dal fatto che dica all’albergatore di mettergli sul conto le eventuali spese eccedenti, che avrebbe saldato al suo ritorno, lascia immaginare che sia stato in viaggio d’affari; il che lo obbligava, probabilmente, a fare quella strada. Nonostante ciò, si ferma e impiega un po’ del suo tempo prezioso a favore del malcapitato. Invece dei due “ecclesiastici” si dice che scendevano “per caso” e che “videro e passarono oltre”.
Tutti e due, sacerdote e levita, videro e passarono oltre. I due temettero forse di contravvenire a qualche legge rituale, che impediva loro di sporcarsi le mani con il sangue di uno sconosciuto e preferirono rimanere puliti e “passare oltre”. (È di qualche giorno fa la notizia, con relativa foto documentaria, di un morto sulla spiaggia, coperto da telo pietoso, e qualche metro più in là una coppia che amoreggiava e un’altra che giocava a palla). Il samaritano, evidentemente libero da obblighi di purità legali, “vide e ne ebbe compassione”.
Il corrispondente verbo greco è di una forza sconvolgente: “fu toccato fino alle viscere”. Come quando qualcosa ti prende allo stomaco. Questo lo spinse a medicargli le ferite, a caricarlo sulla sua cavalcatura, a portarlo in albergo, a “prendersi cura di lui”. Cosa che raccomanda anche all’albergatore, mettendo mano al portafoglio. Si prese cura. I commentatori di questo passo evangelico sono concordi nel sottolineare che il samaritano descritto da Gesù è Lui stesso: colui che si fa prossimo all’uomo nella sue angustie; colui che ha annullato la distanza; un giorno i suoi nemici lo chiameranno “samaritano” (Gv 8,48); colui che Paolo nella Lettera ai Colossesi chiama Riconciliatore di tutte le cose, “avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli” (Col 1,20).