La mia, quella che nel penultimo numero del nostro settimanale ho rivolto a nuora perché suocera intenda, tutto voleva essere tranne che una paternale, o addirittura un serie di paternali. Voleva essere solo un spintarella a che l’oratorio “Giovanni Paolo II” di Prepo, vista la vicinanza fisica, incrementasse la sua vicinanza amicale nei confronti di quelle persone in difficoltà al fianco delle quali ha la fortuna (evangelicamente parlando) di vivere. Voleva essere solo una spintarella, ma se i promotori dell’oratorio “Giovanni Paolo II” l’hanno percepita come una paternale, in futuro vedrò di mettere la sordina alla polemica: è uno dei propositi che formulo più spesso e che mantengo più di rado. Se uno dei Cardinali che lo avevano appena eletto ha ritenuto suo dovere quello di insufflare all’orecchio di Papa Bergoglio quell’irrituale: “Ricordati dei poveri” che lo ha spinto a darsi il nome di Francesco, forse anche io, nella mia dimensione micro-provinciale, potevo permettermi qualcosa del genere nei confronti di un’istituzione, l’oratorio, della quale ho sempre deprecato l’assenza nella struttura pastorale delle nostre Chiese umbre. Mi dicono che non ce n’era bisogno: ne prendo atto. Ma chiedo venia per le mie “esagerazioni”.
La nostra Santa Madre Chiesa per secoli è stata l’unica casa dei poveri: un merito immenso, che nessuno potrà mai contestarle. Poi, in Inghilterra, prima metà del secolo XX, Lord Beveridge codificò lo Stato sociale, quello che dice di voler garantire a ogni cittadino, povero o ricco che sia, una vita decorosa “dalla culla alla bara”. Poi, 1946-1947, nella nostra Costituzione repubblicana brillò l’opzione preferenziale per i poveri espressa dall’articolo 3. Tutto questo spiazzò noi cattolici, che ci dividemmo in polemici (“Lasciateli fare! Vedrete che arrosto combineranno! Perché non si dà vera assistenza ai poveri se non da parte di chi pratica la virtù cristiana della carità!”) e rinunciatari (“Ci hanno cacciato? Bene, restiamone fuori, abbandoniamo il settore e dedichiamoci a qualcosa che sia pastoralmente più produttivo”). Chi denunciò con maggiore vivacità la natura falsa di questo dilemma, solo apparentemente cornuto, furono soprattutto i cosiddetti “preti di strada”, quelli che dissero, o più spesso lasciarono capire, che cominciando dagli ultimi degli ultimi e proponendosi di trattarli come i primi dei primi, in un attimo si ricostruisce intorno a noi quella specie di “corte dei miracoli” della quale Gesù Cristo pare che proprio non potesse fare a meno: ladri di polli, prostitute da 3 chili 100 lire, gente che parla da sola. Poi Papa Giovanni proclamò che la Chiesa da lì in avanti sarebbe stata la Chiesa di tutti “e soprattutto la Chiesa dei poveri”. Poi il Concilio gettò sul problema un forte raggio di luce, con il decreto Apostolicam actuositatem. Ultimi vennero i corvi, cioè noi “preti quasi di strada”, con quella benedetta fissa che “una Chiesa senza poveri non è la Chiesa di Cristo ma solo una congrega di buontemponi”. Esagerazione!