Le elezioni amministrative restituiscono, questa volta, alcune certezze: da Nord a Sud, passando per le isole, gli elettori hanno scelto che ad amministrare le loro città siano gli esponenti del centro-sinistra. Quella vittoria negata in sede politica, a causa soprattutto dello sfondamento del movimento di Grillo e del prodigioso recupero del Pdl, è stata servita su un piatto d’argento nella competizione amministrativa. Lasciando le briciole a tutti gli avversari potenziali, Lega compresa, che subisce un durissimo colpo nella città-simbolo di Treviso. Il Pdl frena e paga, forse più di ogni altra forza politica nazionale, il sostegno al governo delle larghe intese. Il M5s deve solo riflettere sulla sfilza di errori politici, di ogni genere, della sua estemporanea catena di comando. A questo dato politicamente inconfutabile, se ne aggiunge un secondo di non minore valore, soprattutto in chiave prospettica: dappertutto è cresciuto l’astensionismo. Mediamente ha votato meno di un elettore su due (48,51%).
Con il caso shock di Roma, dove alle urne si è recato a votare, per i ballottaggi, solo il 44,93% degli aventi diritto. Si tratta di un processo di disaffezione che si ripete nel tempo e che sembra non voler toccare ancora il fondo. Tanto che molte domande si affacciano sul mandato di un Sindaco eletto da meno della metà dei propri cittadini elettori. Nulla da eccepire, com’è ovvio, sulla legittimità del voto. Molto, invece, resta da esplorare, su come il primo cittadino si debba porre rispetto ai propri concittadini. Una volta, ogni bravo Sindaco poteva affermare, con maggiore o minore convinzione, di dover amministrare “in nome e a favore di tutti”. Ora, se questi “tutti” preferiscono restare a casa, scelgono il silenzio, entrano in quell’area del disagio elettorale che non vuole manifestare le proprie idee, si rifiutano di scegliere fra questo e quel candidato nella corsa bipolare tipica dei ballottaggi, sarà legittimo chiedersi: cosa fare per cogliere i loro giudizi e le loro attese? Domanda non da poco, perché almeno le opposizioni presenti in Consiglio comunale faranno il loro mestiere e faranno sentire la loro voce, sia pure quella delle seconde o terze minoranze numeriche. Ma questa maggioranza silenziosa governata da un Sindaco espresso dalla prima minoranza numerica, come si farà sentire? Il rischio è grande perché, in tempi di forte disagio sociale come il nostro, è evidente che dietro quell’astensione c’è tanto “non detto”. Che va dal rifiuto qualunquista alla sfiducia programmatica, dalla delusione personale alla disaffezione collettiva, dal “così fan tutti” all’individualismo e radicalismo più spinti. Ora, questi nuovi amministratori non potranno cavarsela con il più classico “sarò il Sindaco di tutti”.
Ci permettiamo di avanzare un piccolo suggerimento: dotarsi di uno sguardo nuovo con il quale cercare di discernere i bisogni e le attese delle comunità affidate alle loro cure. Osservare e ascoltare con grande attenzione, per decidere con lungimiranza. Anche in una grande metropoli come Roma, non può essere tempo speso invano. A cominciare da uno stile di governo non ridondante, meglio sarebbe dire sobrio. Nei giorni immediatamente successivi al voto sarà bene, poi, che nessuno si lasci andare a inutili trionfalismi o a eccessi di pessimismo. Questo è il tempo della valutazione più lucida e serena del risultato delle urne. Ci sono dei vincitori certi, così come ci sono degli sconfitti. Ma ci sono anche vittorie mutilate, quando a votare è meno della metà degli aventi diritto. Così come sconfitte onorevoli, se si sono difesi sino in fondo i propri valori di riferimento. C’è un impegno, però, per tutti gli amministratori locali: servire i propri cittadini sulla base delle competenze (tante) affidate ai Comuni. Ci auguriamo che nessun Sindaco si imbarchi in improvvide avventure antropologiche. Non ci si fa eleggere Sindaco per inventare nuovi diritti o metter su improvvisati laboratori sociali, ma per amministrare al meglio la propria comunità. Possiamo scommettere che i cittadini (tutti) ne sarebbero ben lieti.