Stanno partendo in molte parrocchie i campi estivi per adolescenti: quel delinquente del sole, che per tutta la primavera si è nascosto come se non fosse quella la stagione che lo vuole sul proscenio, finalmente si rifà vivo, e ci potete scommettere che presto picchierà duro.
La tradizione dei campi estivi per adolescenti mi pare ben consolidata nelle nostre Chiese; non altrettanto quella degli oratori aperti tutto l’anno, che al Nord hanno fatto da trama e da ordito alla maturazione di tante comunità parrocchiali.
Questa bella tradizione dei campi estivi a volte sembra esaurirsi nella dimensione del gioco, e la formazione dei ragazzi non ne guadagna, anzi ne risente; ma sono eccezioni, perché (anche) attraverso l’attività ludica passa l’istanza formativa. Io ne ho fatto esperienza da piccolo seminarista, secoli or sono, quando il Seminario di Gubbio organizzò un campo estivo in tenda, sopra Campitello di Scheggia, a Ranco Giovannello, da dove nei mattini limpidi si vede l’Adriatico. Poi più tardi, da prete giovane, quando nell’aura culturale del Sessantotto (il Sessantotto minore, non quello dei Ferrara, dei Liguori, dei Brandirali, dei Giampierino Mughini), dilagarono la moda e la passione di campi di lavoro. E nel corso di uno di questi campi, con il “mio” Movimento studenti eugubino, incontrai la Comunità di Capodarco. Fine della corsa.
Tra le istanze formative di un campo estivo parrocchiale avrebbe dovuto sempre esserci, e spesso c’è stata, l’istanza-poveri.
Ma che dire oggi, quando un Gesuita, il primo della sua grande famiglia, è diventato Papa, e si è messo un nome che nessuno si aspettava, “Francesco”, solo perché l’ultimo confratello cardinale che ha abbracciato in Conclave subito prima di ritirarsi nella “cappellina delle lacrime”, un vecchio presule di quelli sempre tenuti in disparte, gli ha sussurrato all’orecchio: “Ricordati dei poveri”.
“Ricordatevi dei poveri”: bisogna dirglielo, ai ragazzi dei nostri campi estivi, bisogna dirglielo accanto ad altre due o tre cose parimenti importanti. Bisogna dirlo anche ai ragazzi del campo estivo che si tiene nell’oratorio di Prepo. Di poveri seri ne hanno un bel numero, vicino a loro: quelli del Diurno di Francesca Bondì, quelli della Residenza della Capodarco dell’Umbria.
Bisogna dirglielo perché non lo sanno. Se lo sapessero! Se sapessero di avere a un passo di distanza uno che ha avuto una vita travagliata e tante esperienze traumatiche, al vertice delle quali si colloca un prolungato soggiorno al famigerato “repartino” dell’ospedale psichiatrico di Perugia, dove passò giornate intere a decorare le pareti con i propri escrementi. Se lo sapessero i ragazzi, del campo lo cercherebbero. E gli si stringerebbero intorno. Come se fosse Caravaggio.
Caro don Angelo, ma sta parlando di quella comunita’ della nostra amica Francesca che fa le prove del suo spettacolo da noi, il diurno nel quale i ragazzi-animatori hanno portato circa i 150 bimbi del grest ad ascoltare il racconto di quei ragazzi e signori speciali, forti e delicati? Sta parlando di quel ragazzo ‘povero’ -come li chiama lei – uno di loro che verra’ a darci una mano o di quella loro ragazza che canta da tre anni nel nostro laboratorio di canto e domani si esibira’?? Ma sta ancora parlando di quei ragazzi che anche oggi, tra un cartellone e l’altro, hanno incontrato Giuseppe, la Cinzia e il mitico Antonio? Sta parlando di quella comunita’ – la sua – che abbiamo invitato alla festa del nostro oratorio proprio questi giorni???? Dicendo Prepo commette comunque il primo errore: l’oratorio si chiama Giovanni Paolo II e riguarda anche le parrocchie di Ponte della Pietra e San Faustino. Il secondo errore, ne sono certo: sta parlando di un oratorio di cui non conosce nulla e di una comunita’, anzi 2, di cui lei misconosce la vita…forse e’ il caso che ogni tanto scenda da Gubbio e prenda contatto con la realta’…la sua e magari anche la nostra!…
Un genitore e volontario