Il 23 maggio è stata presentata in Regione la ricerca sull’associazionismo familiare in Umbria, coordinata dai professori Cristina Montesi e Pierluigi Grasselli. La ricerca ha per oggetto il tema delle reti sociali familiari.
Prof.ssa Montesi, cosa è emerso da questa indagine?
“Anzitutto possiamo dire che l’associazionismo familiare umbro è di costituzione abbastanza recente (essendo fiorito specialmente a partire dal 2000) ma si è rivelato un fenomeno sociale in continua crescita nel tempo. Inoltre privilegia una forma giuridica strutturata, piuttosto che informale; è specializzato soprattutto nei settori che si occupano di salute nella sua dimensione bio-psico-sociale e nel settore educativo; ha un raggio di operatività principalmente comunale / intercomunale. Dal punto di vista della numerosità delle famiglie associate, privilegia la piccola dimensione (da 1 a 40 famiglie) rispetto alla grande (da 81 a più di 100 famiglie), mentre la media dimensione (da 41 a 80 famiglie) è modesta”.
Perché sono nate queste associazioni?
“L’associazionismo familiare nasce in primis per rispondere, in via emergenziale, ai bisogni concreti e specifici della cerchia delle famiglie aggregate che riguardano il ‘sistema’ delle relazioni familiari. Non manifesta però un carattere corporativo, perché la maggioranza delle associazioni fanno attività non solo per le famiglie associate, ma anche per famiglie che non sono associate. Le attività consistono nella fornitura di servizi soprattutto nell’area dell’assistenza sociale e dell’assistenza socio-sanitaria, ma anche in campo educativo e nella tutela dei diritti”.
Chi sono gli associati?
“Abbiamo rilevato una maggiore presenza femminile. Si tratta di una membership non giovane, ma di mezza età, colta, che ancora lavora (soprattutto come lavoratore dipendente) o che si è ritirata dal lavoro. Gli associati dichiarano di aderire all’associazione più per far del bene agli altri che non per ricevere servizi in cambio”.
Come si finanziano?
“Le associazioni si auto-sostentano dal punto di vista economico, provenendo la maggior parte degli introiti dalle quote associative e da offerte e donazioni. Peraltro, la carenza di risorse finanziarie pubbliche e l’assenza o debolezza di reti con il settore pubblico, unitamente alla carenza di risorse umane, sono i principali vincoli all’attività associativa dichiarati dalle associazioni delle famiglie”.
Che tipo di rapporto hanno con l’ente pubblico?
“Il rapporto con le istituzioni pubbliche è ancora di stampo tradizionale: la modalità più avanzata (l’attività di co-progettazione con il pubblico di attività o servizi) è minoritaria rispetto alla semplice presentazione di progetti al finanziamento”.
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