In quasi tutte le parrocchie del mondo – il “quasi” forse è superfluo – il Venerdì santo si svolgono le tradizionali processioni del Cristo morto, con grande affluenza di popolo e spesso anche di turisti e spettatori. Infatti in molti casi le processioni sono dei veri e propri spettacoli che si ispirano alla Cena, al tradimento, all’arresto, al processo, alla passione e morte del Signore, e che richiamano numerosi forestieri, tanto è il coinvolgimento delle scene nelle quali gente comune presta voce e gesti alla rievocazione sacra. Un esempio particolarmente significativo è l’ormai famosa Turba, che si svolge a Cantiano – nelle Marche, ma in diocesi di Gubbio -, dove tutta la cittadinanza è impegnata per l’intera giornata in riti rievocativi della passione del Signore, culminanti nell’ascesa al monte che sovrasta la cittadina per la scena della crocifissione di Gesù. Mentre anch’io prendevo parte alla processione nel suo lungo percorso, mi è sorta insistente una domanda: i nostri cittadini, che con tanto zelo portano il simulacro di Gesù morto per le vie e le piazze della città, sono capaci di accogliere il Signore, non solo morto, ma anche vivente nei luoghi dove si svolgono le relazioni tra gli uomini? Insomma, nelle nostre vie e piazze c’è posto solo per il Cristo morto? Quasi una risposta all’inquietante domanda mi è sembrata una iniziativa particolarmente significativa promossa dai fratelli che fanno parte del Cammino neocatecumenale, intitolata proprio “Vangelo in piazza”. Infatti, nelle domeniche di aprile e nella prima di maggio, in 100 piazze di Roma, in 10 di Perugia, in una di Gubbio e in tante altre d’Italia, un gruppo di giovani hanno fatto e faranno risuonare la parola di Gesù, portandola nei luoghi dove gli uomini vivono prigionieri dei loro problemi e, il più delle volte, delle loro angosce. Ci saranno le folle che hanno accompagnato le processioni del Cristo morto ad ascoltare la parola viva del Maestro risorto?
Eppure il Maestro risorto e vivente lo possiamo vedere con gli occhi della fede ogni giorno e in ogni momento nel volto delle persone che ci sono vicine o che vengono in vario modo in contatto con noi, ma spesso non ci vedono partecipi. Lui è presente anche nelle persone che sfuggiamo o guardiamo con indifferenza: è nel volto dei poveri, degli umili, degli ultimi. Di quelli che l’egoismo della nostra società e del nostro cuore preferisce distogliere dalla nostra attenzione, che potrebbe richiedere uno scomodo coinvolgimento. Invece proprio attraverso quegli sguardi, quei silenzi, quelle disperazioni Gesù ci parla e ci interroga. È un Gesù vivo, che chiede aiuto, dialogo, comprensione, vicinanza (cfr. Mt 25,31 ss). È il Gesù di Francesco di Assisi e di Papa Francesco, di tutti coloro che danno la precedenza ai “piccoli” del Vangelo, che non si lasciano affascinare dalle apparenze più o meno fatue di questo mondo, ma dalla sostanza della Parola. Allora, cari lettori, compiamo una verifica: se le piazze dove è proclamata la Parola viva di Gesù rimarranno pressoché deserte, se il nostro sguardo non incontrerà quello di Gesù, così vivo e presente nelle realtà che ci sollecitano, è segno che le nostre processioni sono espressione di molto folclore e di ben poca o dubbia fede.