Paglia: contro la solitudine l’unica medicina è l’amore

A Terni sei persone si sono tolte la vita in un mese. "Non è un fatto solo privato"

Sei persone nell’ultimo mese si sono tolte la vita a Terni. Se poi andiamo indietro di altri due mesi queste diventano nove. Un bilancio che fa veramente impressione. “Come mai? – ci si chiede increduli. Eppure Terni, così si dice, tutto sommato, è ancora una città abbastanza tranquilla!”. Anche i resoconti della polizia, resi pubblici appena qualche mese fa, orientavano a pensare in questa direzione. Poi scopri che una visione rasserenante non è troppo rispondente alla realtà: il disagio di vivere è molto accentuato. Ci si può chiedere se sia solo disagio materiale dovuto a ristrettezze economiche, o disagio di altro genere: i suicidi stanno però a dire che qualcosa non va, anzi che si è rotto qualche equilibrio importante della vita. Il vescovo mons. Vincenzo Paglia, nell’intervista che gli abbiamo fatto e che riportiamo, tra le altre cose, più volte parla di una crisi di cultura della vita che sarebbe il vero male nascosto che corrode il rapporto stesso con la vita. Sempre si parla delle condizioni economiche; forse poco di quelle culturali, forse queste sono le più corrosive, le più devastanti perché minano alla base il rapporto stesso con l’esistenza. Quando si cessa il rapporto con la vita perché non si vuole essere più di peso a chi ci sta vicino significa che la prestazione, l’efficienza, hanno ormai vinto sulla meraviglia di esistere, sulla gioia di essere insieme e che la cultura in cui è prevalso tale orientamento non promette più niente di veramente umano. “Non di solo pane vive l’uomo” ricorda il Vangelo. C’è un nutrimento, quello delle ragioni per vivere, che non è meno vitale. Come ricreare queste ragioni? Mons. Paglia, cosa prova un Vescovo di fronte a questo ripetersi di suicidi? “Non c’è dubbio che questi tragici fatti interpellano il Vescovo personalmente. Già durante il mese di maggio, da quando sono iniziate queste tragiche vicende, in più occasioni, ne ho parlato pubblicamente. Il fatto che in un mese 6 persone, anziane e non, si siano tolte la vita mi fa sentire responsabile, come persona e come Vescovo, di questa tragedia che si abbatte su tutta la comunità ternana. Sono figli nostri, fratelli e sorelle nostre che hanno fatto queste tragiche scelte. Anche l’intera pastorale ne viene interpellata”. Secondo lei non potrebbe trattarsi di un “malesssere” così personale da non potersi ricondurre a cause generali? “Non si tratta di un malessere superficiale, né di un malessere solamente privato. Tutti dobbiamo sentirci responsabili perchè questi fatti sono solo la punta di un iceberg ben più ampio e pesante. C’è un grande malessere che è la solitudine; una solitudine che non vuol dire stare da soli fisicamente. Si tratta di una solitudine del cuore, una solitudine esistenziale, che purtroppo c’è anche quando attorno a noi non mancano presenze fisiche. Alcune di queste persone andavano a Messa, avevano famiglia, figli. Il problema è che c’è una solitudine che tocca le radici più profonde dell’essere umano: quando uno arriva a dire che preferisce morire piuttosto che essere di peso vuol dire che ci autoconvinciamo di essere un fastidio per gli altri e questo sta a dire che gli altri non ci fanno più sentire che la nostra presenza è preziosa. Questa è l’esperienza più terribile per la persona e si insinua dentro di noi in un convincimento tristissimo che ci porta fino a togliere il “disturbo”. Una cultura che non ha più tempo e voglia di far sentire ad ognuno che il suo esistere è prezioso è una cultura che si deve mettere in discussione. Essa è profondamente contraria al Vangelo e minaccia le radici stesse della vita delle persone. Tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non, devono sentirsi fortemente interpellati da un modo di costruire la vita, questo è la cultura, che non ha più la capacità di accogliere tutti ed ognuno”. Nel nostro territorio, che lei sappia, esistono sufficienti strutture di sostegno per gli anziani? “E’ ovvio che si richiedano strutture di sostegno per gli anziani, ma queste alla fin fine ci sono pure. Il problema non è esteriore, o almeno prevalentemente esteriore; non si tratta semplicemente di aumentare le strutture; per la malattia della solitudine esistenziale l’unica medicina è quella dell’amore, della solidarietà. La nostra società ha bisogno di un più d’anima, un più d’amore, di un riscatto morale più forte, più profondo. Non è che si possa aggiustare questo malessere con qualche toppa strutturale. C’è bisogno di una cultura dell’amore”. Le parrocchie, lei ha detto che qualcuno di quelli che si sono tolti la vita andava a Messa, vengono chiamate in causa e come? “Tutte le nostre parrocchie, tutte le comunità cristiane sono chiamate in causa in prima persona. Compito di ogni credente e comunità ecclesiale è quella di essere un’arca di misericordia e quindi trasfondere una cultura dell’amore nel luogo ove ciascuno vive. Questi fatti così tragici mettono in questione senz’altro anche la pastorale delle parrocchie. Come dire: continuare la pastorale ordinaria non basta più, non risponde più al bisogno di affetto, di amore che si avverte nel nostro territorio. E’ messa in causa la stessa pastorale familiare: la vita ordinaria delle famiglie non esprime più quell’amore di cui c’è bisogno. C’è dunque bisogno di diffondere una nuova cultura dell’amore”. Cosa si può fare? “Vorrei che ci fosse come una riscossa da parte degli stessi anziani. Siano essi stessi a riconquistarsi lo spazio della vita. Il pellegrinaggio che faremo a Roma con lo slogan ” No alla solitudine. Evviva gli anziani” vuol far passare questa riscossa negli anziani. Vorrei che gli anziani si riprendessero il diritto alla vita, il diritto alla gioia, all’amore, il diritto ad essere amati. Firmeremo anche un manifesto e lo doneremo al Papa. come espressione di questa volontà di riprendersi il diritto alla vita. Bisogna far rinascere in tutti la consapevolezza che la vita è un grande dono in qualsiasi stagione ci si trovi”.

AUTORE: Gianni Colasanti