La Fcu, simbolo dell’Italia di oggi

Il trenino della Centrale umbra fa parte della mia vita. Ero appena nato quando i tedeschi fecero saltare la stazione della mia città e distrussero la linea. Appena finita la guerra, mio nonno (che non aveva cariche politiche ma come opinionista contava molto, su nell’Alta Valle) si batté perché la ferrovia fosse ripristinata, suggerendo anche alcune modifiche, che si rivelarono indovinate. Da studente ho viaggiato per anni sul trenino, tra Castello e Perugia; più tardi, per lavoro, tra Perugia e Roma, cambiando a Terni, sempre per anni; e ci salgo ancora di tanto in tanto. Una trentina di anni fa ho deragliato alla stazione di San Gemini, anche allora per un’acquazzone, mi sembra; ma senza danni. Insomma, se ho pregiudizi sono a favore e non contro la Centrale. Però, onestamente parlando, mi sembra che nel suo piccolissimo il nostro trenino sia un caso esemplare di come il nostro Paese, decennio dopo decennio, è andato in rovina. I convogli vanno generalmente a diesel, come gli autobus, ma sono più lenti; tranne forse che nelle corse scolastiche, i viaggiatori raramente sono più di una ventina per convoglio. Se il servizio fosse reso da autobus, sarebbe più efficiente, più veloce e meno costoso, se non altro perché non ci sarebbe il pesantissimo onere di curare la manutenzione della strada ferrata, delle stazioni, dei ponti, delle gallerie, e della linea elettrica (dove c’è e dove funziona). Il tratto che sarebbe il più strategico, quello metropolitano tra Perugia – Sant’Anna e Ponte San Giovanni, è il più antiquato e malmesso. Certo molto è stato speso per i miglioramenti, ma insieme troppo e troppo poco. Troppo poco per avere un vero risultato; troppo perché, se lasci le cose a metà, sono soldi buttati. L’Italia è piena di migliaia di storie come questa, anche molto più in grande. Ora, può darsi che sulla Centrale sia io a sbagliare: magari! Ne sarei felice. Ma in tutti gli altri casi piccoli e grandi, purtroppo, sono sicuro di non sbagliare. È anche così che ci si ritrova pieni di debiti e niente che funziona.

AUTORE: Pier Giorgio Lignani