La crisi ha allargato il divario Nord-Sud. Nel 2007 il Pil italiano era pari a 1.680 miliardi di euro; cinque anni dopo si era ridotto a 1.567 miliardi, con una perdita di 113 miliardi. A fronte della flessione del 5,7% registrata nel Centro-Nord, nel Mezzogiorno tra il 2007 e il 2012 il Pil si è ridotto del 10% in termini reali. Dei 505 mila posti di lavoro persi in Italia dall’inizio della crisi, il 60% ha colpito il Sud (più di 300 mila). Ad affermarlo è il Censis nel suo rapporto La crisi sociale del Mezzogiorno, presentato il 19 marzo a Roma nel corso dell’annuale incontro dedicato a Gino Martinoli, uno dei fondatori dell’istituto di ricerca, scomparso nel 1996.
“Il Mezzogiorno è ormai abbandonato a se stesso” con livelli di reddito (17.957 euro) inferiori a quelli della Grecia (18.454), “ma non si può considerare un problema da rimuovere”, avverte Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, illustrando il Rapporto. Burocrazia lenta nella gestione delle risorse pubbliche, infrastrutture scarsamente competitive, limitata apertura ai mercati esteri e forte razionamento del credito: questi, nell’analisi di Roma, i fattori che “hanno indebolito il sistema-Mezzogiorno”; area in cui un terzo dei giovani tra i 15 e i 29 anni “non studia e non lavora”. Eppure al Sud la spesa pubblica per l’istruzione è molto più alta di quella del resto del Paese.
Ulteriori criticità, aggiunge: l’incremento della popolazione anziana (oltre il 35% entro il 2030) e il deterioramento dei servizi sanitari. È urgente “riqualificare il tessuto sociale: scuola, università, servizi, sanità, territorio e ambiente” secondo “un progetto che sappia più di socialità che di economia” per “creare un welfare che nasca all’interno della comunità e del territorio”.
“L’ansia di intervenire il più possibile con risultati nel breve periodo” è uno dei motivi del fallimento delle politiche per il Mezzogiorno, osserva il presidente del Censis Giuseppe De Rita. Auspicando che il nuovo Governo “abbia il coraggio di intervenire al di là delle pur gravissime emergenze occupazionali”, De Rita sottolinea l’importanza di “investimenti sociali che hanno sì una redditività differita, ma sono la scommessa per il futuro del Sud”. Per De Rita, due gli obiettivi cui puntare: “il primato delle relazioni” e “l’educazione alla dimensione civica, oggi ancora scarsa”. Dalla relazione alla responsabilità: questo, conclude, il successivo passaggio per contrastare “abusivismo e criminalità organizzata” e dare vita a quella “welfare community che ha già dato buoni risultati in alcune aree del Nord”.
Da Angelo Ferro, presidente Fondazione Oicos onlus di Padova, impegnata da oltre 50 anni nel sostegno ai più deboli e agli anziani con 10 centri nel Veneto, la proposta di affrontare il problema invecchiamento demografico nel Mezzogiorno “valorizzando e utilizzando l’esercito dei longevi per realizzare strutture di coesione sociale”. Partendo dalla sua esperienza: “Mettere giovani ciechi, sordi o con motilità limitata accanto ad anziani con le stesse problematiche crea straordinarie relazioni sociali”. Questa, assicura, la “strada per la reciprocità e per un welfare partecipato”.
“Il discorso sullo sviluppo del Mezzogiorno non può prescindere da un discorso generale sull’Italia”, sottolinea Silvano Andriani, presidente Forum Ania-consumatori, secondo il quale “si tratta di una questione culturale, ma anche antropologica”. Oltre alla valorizzazione del turismo, “unico settore ancora in attivo”, Andriani auspica “la nascita di un nuovo centro politico nel Mezzogiorno, perché oggi non c’è più nessun dirigente meridionale che voglia presentare il problema Sud nella sua complessità”.
“Il Sud non lo salva più nessuno se non si dà esso stesso da fare”, chiosa Natale Forlani, direttore generale Immigrazione del ministero delle Politiche sociali. “Comprendere le potenzialità enormi del Mezzogiorno e saperle sviluppare sul modello del marchio ‘Salento’, progetto di 250 mila euro che ha creato 800 posti di lavoro”, è il suo suggerimento. Ma, precisa, “il primo nodo da affrontare è quello della cultura civica” e dell’ancora diffuso “modo ‘clientelare’ di rivolgersi alla politica”.
È “soprattutto crisi di fiducia” quella che investe il nostro Paese dove “non si sentono proposte ma solo uno spararsi contro reciproco”, avverte Carlo Flamment, presidente Formez, Centro studi per la pubblica amministrazione, che quest’anno compie 50 anni e per l’occasione ha presentato il 13 marzo a Roma la sua Agenda 2020, un treno da non perdere. “Per la loro posizione geografica – è la tesi di Flamment –, le regioni del Mezzogiorno possono costituire un’area strategica a livello internazionale e hanno i requisiti per attuare uno sviluppo trainante per l’Italia e l’Europa”. Le Amministrazioni pubbliche “possono diventare motore di questo processo”. Condizioni essenziali “un sistema di credito funzionante” e “una classe politica efficiente”.