“Nessuno deve sottrarsi ai doveri sociali, in questa ora di generale difficoltà e di austerità… Certamente auspichiamo una politica economica più adeguata; giustamente dobbiamo pretendere sanzioni contro coloro che sfruttano perfino le difficili congiunture per moltiplicare i propri lauti guadagni; ma è necessario che ciascuno di noi sappia condividere i doveri di questo periodo, nell’ambito delle sue possibilità… È giusto che veniamo contestati; è provvidenziale per la Chiesa di Dio la presenza di chi protesta contro il tradimento del comando di Cristo. Certo, non si può accettare la pseudo-contestazione di chi farisaicamente chiede agli altri senza prima imporre a se stesso il superamento dell’egoismo… Ma io credo che meriti attenzione la contestazione che alcuni giovani, con la franchezza tipica della loro età, talvolta suscitano all’interno delle nostre comunità… Essi hanno il dovere-diritto di desiderare e di attuare una società civile e una comunità ecclesiale meglio corrispondente agli ideali espressi dallo stesso cristianesimo”. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non sono parole di oggi, ma hanno quasi quarant’anni: Cesare Pagani le scriveva nella lettera pastorale Saremo giudicati sull’amore per gli altri rivolgendosi, nella Quaresima 1974, “ai sacerdoti e ai fedeli delle diocesi di Città di Castello e di Gubbio”, di cui era vescovo da un anno appena. A consacrarlo era stato Paolo VI, in San Pietro, il 13 febbraio 1972; veniva da Milano e dal mondo del lavoro, e in quelle frasi condensava questo e molti altri amori, precisati ancora meglio in seguito: i giovani per esempio, le famiglie, la cura della vita interiore e spirituale, lo smascheramento di tutti gli egoismi, sia quelli individuali sia quelli sociali.
Non sono parole di oggi, quelle citate, anche perché, potremmo dire, sono parole rivolte al domani, al futuro, come quasi tutto ciò che è contenuto nelle venti lettere pastorali di mons. Pagani: dieci nell’episcopato tifernate ed eugubino, dieci in quello successivo, che lo vede vescovo di Perugia e di Città della Pieve (prima riunite nella sua persona e poi anche giuridicamente) dal 1981 (l’ingresso solenne agli inizi del 1982) fino alla prematura morte nel 1988. Venti lettere pastorali che la diocesi di Perugia, e in particolare il vicario generale mons.
Paolo Giulietti con un nutrito e agguerrito gruppo di lavoro, ha ritenuto opportuno “rilanciare” in questo 25° anniversario, non solo e non tanto con finalità celebrativa ma anche e soprattutto per la loro carica profetica e per la loro sorprendente attualità. Mons. Pagani ha ancora molto da dire, alle generazioni attuali e nelle attuali congiunture. Ne sa qualcosa chi ha collaborato all’attuazione del volume – innamorandosene – e ha avuto la grazia di centellinarne, si può dire, virgola per virgola, perché nel periodare di questo Pastore non c’è nulla che non sia significativo, essenziale, concreto e, al tempo stesso, spiritualissimo.
Un profeta – s’è detto – “interattivo”, per usare un termine contemporaneo che probabilmente lo stesso Pagani avrebbe amato e usato, come faceva con quelli del suo tempo. “Dal conoscersi può venire l’amarsi; dalla comunicazione può essere favorita la comunione”, scrive nel 1982 ai perugini nella lettera intitolata Io sono con voi tutti i giorni: fermo restando che la sostanza dell’una e dell’altra è Cristo, nella centralità della eucaristia e nell’insostituibile mediazione della Chiesa. Per questa ecclesialità creduta e vissuta, la forma dei suoi documenti (spesso ciclostilati per essere diffusi in modo più informale e capillare) non è quella assertiva di un trattato ma vi prevale la funzione di “appello”: interrogativi, domande, provocazioni per coinvolgere il lettore-fedele-ascoltatore. Né si trattava di quesiti retorici: erano domande vere, sollecitavano risposte scritte e soprattutto operative, di cui il Pastore teneva debito conto nella pastorale, nei gesti concreti di condivisione, nei documenti successivi. Il volume intitolato Cesare Pagani: Lettere pastorali. Il magistero episcopale dal 1973 al 1988, edito da La Voce in veste semplice e curatissima, è corredato da saggi e testimonianze di Gualtiero Sigismondi, figlio spirituale di mons. Pagani e oggi vescovo di Foligno; di Giuseppe Chiaretti, arcivescovo emerito di Perugia-Città della Pieve; e di Giancarlo Pellegrini, docente di Storia contemporanea all’Università di Perugia. Lo impreziosisce l’introduzione di mons. Paolo Giulietti, che chiarisce il senso di questa e di tutte le altre iniziative.
Si prevede di inserire il libro in una trilogia, racchiusa in cofanetto, insieme ad altri due volumi che completano il ritratto e il messaggio di mons. Cesare Pagani. Il primo è la riedizione del trattato di ecclesiologia Spero perché credo la Chiesa, di mons. Sigismondi, per i tipi della Porziuncola, la stessa che lo pubblicò nel 2002. La frase che dà il titolo a questo libro, rielaborata da elementi del Credo, è tratta da un’altra delle lettere di Pagani: “Dare senso alla vita”, del 1980, incentrata sui giovani ma rivolta a tutti. A tutti e a ciascuno, come amava sottolineare l’autore. È appena il caso di sottolineare, dal canto nostro, che il capitolo precedente della stessa lettera si intitolava Spero perché credo l’amore. Non si trattava mai di parole vuote, di cui si potesse sospettare che a Pagani piacesse solo il suono. Chi vuol approfondire alle radici la vita di quest’uomo venuto dal Nord e innestatosi perfettamente nella nostra realtà concreta, oggi purtroppo non sempre ricordato come meriterebbe, può leggere il terzo volume (uscito nel 2008 a Milano, a cura del Gruppo amici ambrosiani di monsignor Cesare Pagani) intitolato Cesare Pagani: la passione e il coraggio, che ripercorre i suoi passi fin dalle origini della famiglia nell’hinterland milanese, il seminario, l’ordinazione nel duomo di Milano da parte del card. Alfredo Ildefonso Schuster (oggi beato), i primi passi nelle parrocchie “sotto le bombe” (nel 1944, come lui amava dire; anche sua madre morì di spavento a causa di uno scoppio), i passi da gigante con le Acli, l’amicizia e la profonda consonanza di interessi con il card. Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano e poi papa Paolo VI, che lo inviò in Umbria come vescovo.