Queste quattro righe arriveranno sotto gli occhi dei lettori quando l’elezione del nuovo Papa si sarà fatta sempre più vicina, dopo che il Papa tedesco ha rinunciato a quella che tuttora è la Cattedra più prestigiosa del mondo. Una decisione, lo dicono tutti, motivata da una serie di stanchezze e di delusioni.
Ma io mi chiedo se tra queste ultime non ce ne sia molto forte, legata alla decisione, presa dal Papa qualche tempo fa, di entrare in Twitter. Scrive Wikipedia, la notissima agenzia informatica: “Twitter è un servizio gratuito di social network e microblogging che (…) permette a chi entra in esso di poter inviare e ricevere quanti messaggi vuole a coloro che si sono iscritti come lui”.
Scrivo perché ho intravisto su uno dei tanti telegiornali di queste convulse giornate elettorali una notizia sulla quale mi sembra che quasi tutti abbiano glissato, ma che a me ha recato profondo turbamento: di questi messaggi Benedetto XVI ne ha ricevuti quasi 50.000. Un po’ più della metà erano di affetto e di ammirazione, un po’ meno della metà erano al contrario di disapprovazione: poche osservazioni pacate, molti, moltissimi insulti. Sicuramente Papa Ratzinger sa di non meritarli, ma altrettanto sicuramente devono averlo profondamene ferito.
Personalmente, certo, ma più ancora come pastore della Chiesa universale. Ammettiamo anche che un buona percentuale di quei messaggi negativi siano dovuti a gente fuori di testa, a ragazzotti in canotta che parlano e scrivono come ruttano e spetazzano: giriamo allo psichiatra il loro caso.
Ma, anche ragionevolmente ridotto sul piano dei numeri, il fenomeno è ugualmente doloroso, perché attesta una diffusa antipatia, un’idea ampiamente negativa che tanta gente comune s’è fatta della Chiesa cattolica. Certo, la captatio benevolentiae non è il fine della Chiesa, e per statuto divino la Chiesa deve trasmettere insegnamenti anche di difficile digestione, ma d’altra parte la prima condizione per evangelizzare – e questo è sì lo scopo primo dell’attività della Chiesa – è l’esistenza, se non di una piena simpatia, almeno di un’empatia tra l’evangelizzatrice e l’evangelizzando. Chissà quanto quelle 10-15.000 prese di distanza dalla Chiesa debbano aver rappresentato per Papa Benedetto una grande sofferenza. Chissà.
Non è facile per nessuno, non sarà facile nemmeno per il prossimo Papa scegliere fra l’integrità della verità da trasmettere al mondo e la sensibilità di quel particolare mondo, quando essa è in linea di collisione con quella verità. Mi ha sempre colpito l’atteggiamento del card. Newman che, quando si convertì dall’anglicanesimo al cattolicesimo, non disse nulla a sua madre, lasciandola nella pace di quelle confessione religiosa che per lui era ormai inaccettabile, ma lei c’era vissuta dentro e ci si era santificata, nel corso della sua vita intera.