Proprio in uno di questi giorni di marzo di 25 anni fa, esattamente il 12, quando la stagione cominciava a sorridere di nuovo per la primavera ormai vicina, moriva l’arcivescovo Cesare Pagani. Non era stato male, non era debilitato. Aveva 66 anni, nel pieno della maturità. È caduto come cade in battaglia un soldato. Anzi, un generale di un esercito ben proteso alla battaglia.
Era certamente un combattente. Fin da quando era giovane prete impegnato con la gente semplice della parrocchia, e poi con i lavoratori in difesa dei diritti delle persone bisognose, e per svolgere un’azione di educazione e formazione di una classe operaia in grado di competere, non con la forza materiale ma con la capacità di dare ragione della propria dignità e dei propri diritti.
La sua morte ha qualcosa di particolare. Lucidamente ha percepito che era giunta l’ora. Non era rassegnato, ma consenziente e disposto a compiere la volontà di Dio. “È il momento di partire” ha detto, e ai suoi amici che gli stavano accanto ha suggerito con dolcezza: “Non piangete, su, su, siate contenti che vado al Padre”. Così mi hanno raccontato i medici che lo avevano in cura, Pasquale Solinas e Maurizio Cocchieri, non senza lacrime agli occhi: “Non ho visto mai nessuno morire in quel modo”.
La sua fede lo rendeva forte e convincente anche di fronte a situazioni difficili. Senza alzare mai la voce, penetrava nell’intimo dell’interlocutore fissandolo negli occhi e trascinandolo con fermezza dalla sua parte, la parte di Dio, di Cristo, della Chiesa. Questa sua azione era mirata soprattutto verso i giovani, che egli valorizzava e rispettava nella loro libertà, valorizzando le doti e le energie e catalizzando i loro sforzi per dare una testimonianza cristiana credibile, carica di entusiasmo.
Pagani è riuscito a convincere anche Papa Giovanni Paolo II: lo ha invitato a Perugia, coinvolgendo così la nostra città e la nostra storia in quella del grande evento di Assisi dove si svolse, il giorno dopo la visita a Perugia, la famosa Giornata di preghiera per la pace di tutte le religioni del mondo. Il Papa è andato ad Assisi partendo da Perugia dopo aver pregato nella cappella della casa Sacro Cuore quello stesso 27 ottobre 1986.
Pagani era un uomo di Dio capace di entrare in comunicazione con Lui nella preghiera dopo un lungo silenzio di preparazione interiore. Una volta ha detto che servivano due ore di preghiera silenziosa per poter giungere a un contatto mistico con Dio.
Un ricordo personale che ancora mi lascia sorpreso è quando venne a cercarmi senza preavviso nell’ufficio Studi e ricerche del Provveditorato – dove allora ero impegnato – insieme al suo segretario per propormi di assumere la direzione del settimanale regionale La Voce che intendeva rilanciare, d’accordo con tutti i Vescovi dell’Umbria.
Era la fine del 1983. Il 1° gennaio 1984 firmavo il primo numero della nuova serie, sotto la tutela di don Remo Bistoni, non avendo io ancora il titolo di giornalista. Sono ancora qui. Molti sono ancora ai loro posti da quando Pagani li ha scelti e ha dato loro un ruolo oppure una vocazione, comunque un impegno cristiano assunto con uno slancio che il tempo non ha spento né frenato.
Ciò detto, ci si spiega perché, dopo 25 anni, di mons Cesare Pagani ci sia ancora un ricordo particolarmente vivo.
Dall’impegno nelle Acli agli episcopati in Umbria
Cesare Pagani nacque a Dergano, periferia nord di Milano, il 10 maggio 1921, figlio di operai, Carlo e Adele Novati. Fin da seminarista coltivò la passione di evangelizzare il mondo del lavoro. Ordinato sacerdote dal beato card. Alfredo Ildefonso Schuster il 3 giugno 1944 – “sotto le bombe” come diceva -, l’anno dopo perdeva la madre per uno spavento causato da uno scoppio. Il suo primo incarico fu quello di vice rettore del collegio Rotondi di Gorla, fino al bombardamento dell’ottobre 1944; poi ricevette la nomina di coadiutore a Milano nella chiesa parrocchiale di Santa Maria di Caravaggio. Già qui si dedicò con particolare impegno alla pastorale giovanile e sociale e al laicato cattolico. L’11 giugno 1949 diventava coadiutore nella parrocchia di Saronno e assistente delle Acli per tutta la zona; l’8 ottobre 1952 veniva nominato assistente provinciale per le Acli di Varese, dove si trasferì nel 1956. Nel 1958 è assistente diocesano della Gioventù femminile di Azione cattolica. Il 10 agosto 1961 l’arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini, affida a don Cesare la creazione dell’ufficio di Pastorale sociale della diocesi; l’anno seguente nasceva il Cedim, Centro diocesano immigrati, che Pagani fu chiamato a dirigere. Il 21 giugno 1963 il card. Montini, legato a Pagani da una forte amicizia e consonanza di interessi, diventava Paolo VI. Nominato delegato vescovile ad interim per l’Azione cattolica, l’anno successivo Pagani venne chiamato a Roma dal nuovo Papa come assistente centrale delle Acli. È il tempo del Concilio Vaticano II. Con la costituzione in sede Cei del nuovo ufficio centrale per la Pastorale del lavoro, Pagani riceve da Paolo VI la nomina a vescovo di Città di Castello e Gubbio; è lo stesso Pontefice a consacrarlo, in San Pietro, il 13 febbraio 1972. Tra le due diocesi, egli si dividerà anche fisicamente alternandovi la residenza, finché, il 21 novembre 1981, Giovanni Paolo II lo invia alla sede perugina, vacante per la morte di Ferdinando Lambruschini. Presidente della Conferenza episcopale umbra fin dal 26 maggio 1976, mons. Pagani diventa così arcivescovo di Perugia e vescovo di Città della Pieve, riunite nella sua persona finché non lo saranno anche per decreto nel 1986. In quello stesso anno, il 26 ottobre, Perugia ricevette la visita di Giovanni Paolo II, alla vigilia dello storico incontro interreligioso di Assisi. Una gioia e un ulteriore impegno che il presule avrebbe avuto tempo di vivere ancora per poco, prodigandosi senza risparmio fino alla morte, a soli 66 anni, il 12 marzo 1988. Il suo Testamento spirituale è una luminosa sintesi di tutta la sua vita.