Nella campagna elettorale ormai conclusa, tra i tanti temi dimenticati c’è stato anche quello delle carceri sovraffollate, con tutti i problemi che comporta per le condizioni di vita dei reclusi e per il lavoro degli addetti alla loro sorveglianza. “Il grado di civiltà di un Paese si misura dallo stato delle sue carceri” scriveva Voltaire. Anche la Costituzione italiana sottolinea che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Esaminando la situazione delle carceri in Italia, dobbiamo concludere che il “grado di civiltà” del nostro Paese purtroppo è molto basso e che nei 206 istituti di pena, compresi i quattro dell’Umbria, la Costituzione non è rispettata. Quasi 66 mila detenuti ammucchiati in celle che ne possono ospitare 47 mila. Se c’è una classifica europea dove siamo in testa, è proprio questa del sovraffollamento: 140 detenuti ogni 100 posti, mentre la media del Continente è del 99,6 per cento. L’articolo 27 della nostra Costituzione dice anche che “l’imputato non deve essere considerato colpevole fino alla condanna definitiva”.
Ebbene, l’ultimo rapporto sulla situazione delle carceri in Italia dell’associazione Antigone, presentato la scorsa settimana a Perugia, evidenzia che il 40 per cento dei detenuti costretti a vivere in queste condizioni sono ancora in attesa di una sentenza di condanna definitiva. Quindi potrebbero essere innocenti. Anche per questo aspetto di basso “grado di civiltà” siamo tra i primi in Europa, dove la media è di meno del 30 per cento. In particolare, 23,7% i detenuti in attesa di giustizia in Francia, 15,3% in Germania, 19,3% in Spagna e 15,3% in Inghilterra.
La Corte europea dei diritti dell’uomo negli ultimi mesi ha condannato per due volte l’Italia per le condizioni di vita nelle nostre carceri. Sono in difficoltà nell’applicare la pena detentiva perfino alcuni giudici italiani. Il Tribunale di sorveglianza di Padova ha chiesto alla Corte costituzionale di sospendere o rinviare l’esecuzione della pena per un detenuto per i “trattamenti disumani e degradanti” che avrebbe ricevuto in carcere.
Anche in Umbria i quattro istituti di pena di Perugia, Terni, Orvieto e Spoleto sono sovraffollati, ma la situazione è meno drammatica che in altre realtà del Paese. Alla fine del gennaio scorso c’erano 1.615 detenuti (di cui 649 stranieri e 70 donne) in celle che ne potrebbero ospitare 1.332. Quando le carceri sono troppo piene c’è meno spazio per attività di socializzazione ed aumentano le tensioni. Paradossalmente, mentre aumenta il numero dei detenuti diminuisce quello degli agenti di custodia, con tutte le conseguenze anche per le loro condizioni di lavoro. Per “ripristinare la legalità del nostro sistema penale e penitenziario” è cominciata anche in Umbria una raccolta di firme a sostegno della campagna “Tre leggi per la giustizia e i diritti: tortura, carceri, droghe”.
Si tratta di tre proposte di legge di iniziativa popolare promosse a livello nazionale da un gruppo di associazioni, tra le quali Antigone, Arci, Associazione nazionale giuristi democratici, Cgil, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti ed Unione Camere penali italiane. Nella nostra regione vi aderiscono anche il Forum sanità penitenziaria, l’associazione Papa Giovanni XXIII, il Forum terzo settore e Libera Umbria. Proposte non tutte condivisibili, ma che hanno il merito di riproporre all’attenzione della società e della politica un problema che si protrae da anni e che finisce sempre nei cassetti delle cose dimenticate.
La presentazione della campagna avvenuta a Perugia è stata l’occasione per sottolineare alcune specificità della situazione riscontrata nei quattro istituti di pena umbri in occasione delle visite fatte per l’Osservatorio dell’associazione Antigone. Nel carcere di massima sicurezza di Spoleto alcuni locali che erano destinati a momenti di socialità sono stati trasformati in dormitori. In quello di Orvieto si sono dovuti aggiungere letti a castello e brandine, fino ad arrivare in certi momenti a 14 detenuti per cella. A Terni i reclusi presenti sono quasi il doppio di quelli previsti. Si sta inoltre aprendo un nuovo reparto, che era inutilizzato, con l’arrivo di altri detenuti. Manca però il personale di custodia, tanto che i sindacati della polizia penitenziaria hanno da tempo minacciato clamorose azioni di protesta se non ci saranno adeguati rinforzi. Nel carcere perugino di Capanne per fare fronte al sovraffollamento talvolta la sera vengono distesi anche materassini per terra. Qui la convivenza è molto difficile anche perché il 70 per cento dei reclusi sono stranieri, di varie nazionalità ed etnie. Nell’ultimo anno ci sono stati 10 tentativi di suicidio e due suicidi. Numerosi gli atti di autolesionismo da parte dei reclusi. Solo nel 2011 se ne sono contati 140. Quello dei gesti di autolesionismo è un problema che riguarda tutte le carceri italiane. A Terni nel gennaio scorso un marocchino si è impiccato alle sbarre della sua cella. Secondo l’osservatorio di Antigone, il 33 per cento dei detenuti sono stati protagonisti di atti di autolesionismo ed il 12 per cento hanno tentato il suicidio. Gesti di disperazione, talvolta volutamente spettacolari per richiamare la nostra attenzione sulla situazione disumana in cui sono costretti a vivere e per ricordarci quell’articolo della Costituzione secondo il quale “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. Per essere, come ricordava anche Voltaire più di due secoli fa, un “Paese civile”.
Perugia – Spoleto: mancano i fondi per i progetti di formazione delle Acli
Il “carcere è società” ed è la società a doversi fare carico “di provvedere alle esigenze ed ai bisogni” delle persone recluse ha scritto il direttore della casa circondariale di Perugia, Bernardina Di Mario, nella pubblicazione Dai Paesi di domani che raccoglie e racconta l’esperienza di un progetto di formazione professionale nelle carceri di Perugia e Spoleto dell’Enaip, agenzia formativa dell’Acli. Un progetto finanziato dalla Provincia di Perugia con cinque percorsi formativi per addetto alla cucina, manutentore del verde, vivaista, grafico editoriale ed operatore informatico che hanno coinvolto 50 allievi nei due istituti di pena. “Erano tutti molto motivati – racconta Alessandro Moretti di Enaip Perugia e presidente dell’Azione Cattolica diocesana – perché pensavano a costruire il loro nuovo futuro. Lezioni che hanno anche aiutato ad abbattere barriere culturali tra persone di vari Paesi e culture”. I corsi sono finiti, alcuni degli allievi sono tornati liberi ma ancora oggi – racconta Moretti – continuano a scrivere ed a rivolgersi ai loro “maestri” ed alle Acli. Purtroppo – è l’amara conclusione di Moretti – oggi non ci sono più finanziamenti per queste attività formative.