Forse è stato il più importante evento del grande Giubileo del 2000: se per tutto l’anno si sono contati a Roma 25 milioni di pellegrini, solo la Giornata mondiale della gioventù ha riunito in una sola volta due milioni di giovani. “Cosa c’è dietro questo evento? Come mai si è riusciti a fare questa impresa?”. Sono le domande che Carlo Fuscagni ha rivolto a mons. Domenico Sigalini, incaricato del servizio nazionale di pastorale giovanile della Cei, uno degli artefici di quell’incontro, a Città di Castello nell’ambito della festa popolare “Stracastello”. Sigalini ha chiarito da subito che quei ragazzi “non erano figli di nessuno”. Quelli di Roma erano per lo più giovani che venivano dalle varie comunità cristiane e avevano alle spalle famiglie cristiane. Con loro c’erano quegli animatori che, durante l’anno, faticano per farli incontrare settimanalmente. A Tor Vergata si sono ritrovati tutti i giovani, quelli convinti della loro fede, ma anche quelli che stanno un po’ di qua un po’ di là e quelli, scettici, che si avvicinano soltanto per vedere. Rifacendosi al tema dell’incontro: “Giovani, il futuro con le nostre mani”, mons. Sigalini è voluto andare oltre la memoria degli eventi romani. E si è chiesto: il futuro dei giovani è come lo vogliono gli adulti? La generazione dei giovani che chattano in rete sembra accusare gli adulti di aver scippato loro il futuro; i grandi tengono ben saldo il loro presente. Sigalini ha proposto una provocazione: se è vero che i giovani sono il futuro, allora su di loro si devono investire molte energie, se invece sono considerati contemporanei degli adulti, allora i grandi si devono difendere. Oggi sembra che gli adulti debbano proprio difendersi dai giovani se è vero, ad esempio, che i cantautori che controllano il mondo giovanile hanno dai cinquant’anni in su. Anche oggi si nota questa sfiducia nei confronti delle giovani generazioni quando si sente dire: “ai miei tempi…” un ritornello sempre utilizzato per dire che l’oggi è peggiore di ieri! Come stanno veramente le cose? Sigalini ha tratteggiato un quadro dei giovani e delle prospettive future, un quadro che può apparire irreale ai tanti educatori che sperimentano tutte le difficoltà del mondo giovanile nei vari ambiti: dalla scuola, allo sport, alla Chiesa, ecc. Una prospettiva che prende però forza da quell’utopia che è capace di muovere la storia. I giovani – ha ricordato Sigalini – innanzitutto sanno dirsi l’essenziale della loro fede (“a che cosa vi attaccate voi cristiani?” chiedeva un giovane cercando interlocutori in internet. “Io, in quanto credente, mi attacco ad un pezzo di legno. Dopo aver sperimentato la morte di una amica gravemente malata, mi attacco all’annuncio di un giovane: “quello che era morto non è qui, è risorto” risponde una ragazza). I giovani sperano di trovare una risposta alla solitudine, hanno una grande necessità di affetto, di sentirsi qualcuno, di totalità. Riprendendo il commento sulla Gmg di un giornalista convertito al cattolicesimo, Sigalini ha parlato della generazione dei giovani di oggi come quella che segna il passaggio dai timorati di Dio agli innamorati di Dio. “I giovani sono talmente normali da vivere la fede dentro i rapporti di amicizia”. Con i giovani non bisogna mai utilizzare la parola “ormai”, segno di uno scoraggiamento di fondo: esempio è il Papa che non dice né questa parola, né “ai miei tempi”, ma ai giovani dice “voi siete all’altezza delle generazioni che vi hanno preceduto… Il Signore vi vuole bene anche quando noi lo deludiamo”.
“Il futuro dei giovani è come lo vogliono gli adulti?”
Incontro con mons. Domenico Sigalini incaricato nazionale pastorale giovanile
AUTORE:
Francesco Mariucci