Ho scritto che, dopo che le dimissioni di Benedetto XVI hanno rotto il ghiaccio, si è aperta la strada che porterà (non subito, ma comunque presto) all’introduzione del papato a termine (o con un limite di età, o con una durata fissa e prestabilita). Autorevoli amici mi hanno detto che non ci credono. Ma è la forza delle cose che spinge in questa direzione. Quali cose?
Primo: il mondo moderno chiede decisioni pronte, veloci, imprevedibili; ci vogliono energia e lucidità.
Secondo: il Papa è un capo effettivo, assoluto; non è come l’Imperatore del Giappone che ha un ruolo altissimo ma solo simbolico e non decide nulla. Il Papa non condivide la sua autorità con nessuno; non ha accanto a sé un comitato esecutivo o un Parlamento che decidano a maggioranza, senza di lui o magari contro di lui; nessuno può sostituirsi a lui se non è lui a volerlo. È vero che innumerevoli cose in Vaticano si fanno in nome suo senza che in realtà ne sappia nulla, ma i capi dei dicasteri li sceglie lui personalmente e dà gli indirizzi, e se vuole può avere l’ultima parola su tutto.
Terzo: i progressi della medicina allungano la vita oltre l’immaginabile, e spesso anche in ottime condizioni, ma non garantiscono contro le peggiori malattie dell’invecchiamento, come il Parkinson, che lascia intatta la psiche ma blocca il corpo fino a togliere l’uso della parola, o l’Alzheimer che non paralizza il corpo ma distrugge la psiche fino alla demenza totale. E questi sono solo i casi estremi.
Certo, la lunga infermità di Giovanni Paolo II è stata una straordinaria lezione di spiritualità e di umanità, grazie anche all’eccezionale carisma della sua persona; ma vorremmo ripetere l’esperimento? Nessuno lo ha rivelato e non ne so nulla, ma non mi stupirebbe se nel Conclave che ha eletto Ratzinger i cardinali ne avessero parlato segretamente, e altrettanto segretamente avessero chiesto all’eletto di tenerlo a mente per quando sarebbe venuto il momento. Se così fosse, tutto sarebbe più chiaro.