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Madonna di Citerna: gloria della terracotta

Venerdì 30 novembre è stata ricollocata nell’antica sacrestia della chiesa di San Francesco a Citerna l’opera in terracotta policroma la “Madonna di Citerna” di Donatello (1418 ca). Ricche di festeggiamenti le giornate del 1° e 2 dicembre per questa straordinaria occasione che ha cambiato il panorama artistico non solo dell’Alta Valle del Tevere ma di tutta l’Umbria.

Alla presenza di tutte le autorità civili ed ecclesiastiche l’opera è stata salutata con grandi onori e con un’accoglienza studiata nei minimi dettagli dal Comune di Citerna. Presente tra i relatori Laura Ciferri, storica dell’arte che scoprì nel 1999 la statua nella chiesa di San Francesco durante un’indagine scientifica propedeutica alla sua tesi di laurea sui manufatti policromi nel territorio umbro nei sec. XV-XVI.

È del 2004 l’attribuzione dell’opera al grande maestro fiorentino Donatello e l’uscita del volume La Madonna di Citerna, terracotta inedita di Donatello con saggi critici di Corrado Fratini, Giancarlo Gentilini e Alfredo Bellandi. L’opera attribuita al periodo giovanile dell’artista, tra il 1415 e il 1420, ha rivoluzionato non solo la produzione artistica di Donatello ma tutto il panorama scultoreo del tempo.

L’intervento di Gentilini ha riproposto un’esaltante monografia di Donatello, artista prolifico che seppe riscoprire con questa opera devozionale una materia, la terracotta, considerata fino ad allora povera. La statua realizzata in un unico blocco è su base rettangolare, alta 114 cm e pesante 58 kg. Sovrasta una sorta di dialogo privato tra Madre e Figlio i cui volti esprimono rispettivamente dolcezza e malinconia, timore e bisogno di protezione. Di grande suggestione la veste, i panneggi con le decorazioni a foglia d’oro di Maria e la straordinaria plasticità del Bambino. Il quale è appoggiato alla spalla della Madre, che lo sostiene con la mano sinistra e la cui gamba sembra essergli sfuggita e scivolata giù lungo il fianco, mentre il Bambino sembra aggrapparsi al collo materno.

La chiave di lettura dell’opera va a porsi nel delicato momento di passaggio dagli stilemi del Gotico internazionale ai nuovi princìpi rinascimentali di Brunelleschi.

I relatori dell’Opificio delle pietre dure di Firenze hanno illustrato le fasi dei numerosi interventi che hanno consentito la riscoperta dell’originale policromia quattrocentesca compromessa dalle numerose ridipinture che impedivano la leggibilità dell’opera. Ancora molti gli interrogativi relativi alla statua, dalla provenienza alla committenza, sicuramente prestigiosa. La sua attuale collocazione nell’antica sacrestia della chiesa a destra della navata ne dà una suggestione di imponenza e predominio dello spazio restaurato.

I lavori della chiesa sono stati presentati al pubblico sabato 1° dicembre. Domenica 2 dicembre si sono concluse le celebrazioni con la partecipata messa solenne presieduta dal card. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, e dal vescovo diocesano Domenico Cancian, e con il concerto pomeridiano per pianoforte e flauto (Leonora ed Eloisa Baldelli). Parole di grande impatto sono state quelle pronunciate del Cardinale, che ha celebrato l’arte come unione tra le genti. Come sembrano simboleggiare le mani del complesso policromo, volte ad auspicare il bisogno di stringersi e di unità: le mani della Vergine di eleganza raffinata, la sinistra allungata e con le dita aperte e arpeggiate, e quelle del Bambino vigorose, la sinistra nell’atto di afferrare e la destra contratta ad indicare lo spavento per ciò che vede. In ciò si racchiude la preveggenza della Vergine sul futuro del Figlio, tragedia e salvezza di tutta l’umanità.

AUTORE: Catia Cecchetti