Uno dice “Che doccia che ho fatto!” quando è reduce da un’insopportabile esperienza di caldo africano, o di sporcizia pesante, e se ne è liberato grazie ad un’acqua che vorrebbe chiamare santa se non fosse perché teme di apparire irriverente.
Una quarantina di anni fa. Impegnato a raccogliere carta straccia a beneficio della mia comunità, dall’Enel di Perugia ci arrivò l’invito a svuotare i sotterranei della sua sede di via XIV Settembre. “Montagne di carta”, dissero. Prelevai due dei miei alunni migliori del liceo Mazzatinti, Peppe Biancarelli e Tonino Fagiani, feci piazzare un enorme container in ferro all’inizio di via Ripa di Meana, e partimmo.
“Montagne di carta”. Effettivamente i sotterranei della sede Enel di Perugia erano pieni di carta straccia, ma si trattava di moduli di piccole dimensioni, abbandonati alla rinfusa nel ventre del palazzo. Tapini. Lavorammo ore e ore. Un, due, tre! Riempire di carta straccia i capaci sacchi di iuta, caricarli in spalla, risalire dal ventre del palazzo, attraversare la strada, arrampicarci (con il sacco in spalla) lungo gli appositi supporti in ferro saldati a mo’ di scala sulla parete posteriore del container e scaricare il sacco. Ripetere l’operazione fino a quando ce la fai.
Una faticaccia. E tanta polvere. Ogni riempitura di sacco sollevava un polverone che non vi dico. Parte di quella polvere tentò di ostruire le nostre vie respiratorie, vigorosamente respinta da colpi di tosse come cannonate; le rimanenze, grazie al sudore che ruscellava ovunque, ci si attaccarono un po’ su tutta la superficie corporea. Una faticaccia. Chissà se se ne ricordano Tonino (che adesso che è direttore amministrativo e finanziario delle cementerie Barbetti spa) e Peppe (che oggi è un ex presidente della Comunità montana Alto Chiascio).
Finimmo che sembravamo tre minatori della California spagnola del tempo di Zorro al termine delle loro 12 orette quotidiane di lavoro, nella polverosa miniera di calce di proprietà proprio di quel Perfido Alcalde che per un tempo indefinito tentò invano di catturare l’Inafferrabile Spadaccino con la maschera; il quale, da parte sua, per un tempo indefinito continuò a disegnare con la spada elegantissime “Z” sul pancione del povero sergente Pedro Gonzales.
Fatica e polvere. E la voglia di una doccia che, mentre tornavamo a Gubbio, assurgeva al vertice di tutti i nostri desideri. Tornammo a casa e ci telefonammo: “Che doccia che ho fatto, ah!”.
L’ho detto anche stavolta: “Che doccia che ho fatto!”, ma stavolta era una doccia… “spirituale”. Me l’ha fatta fare don Luca Lepri per l’intercessione del beato Papa Giovanni XXIII. Sibillino?
Abbiate pazienza: pazienza, la virtù dei forti. Oltre che di quelli che non hanno niente da fare.