Fino al Concilio Vaticano II l’apologetica era molto in auge nella formazione dei credenti. Essa mirava a dimostrare la credibilità razionale della fede cattolica, ed era quindi una illustrazione logica, molto stringente, del Mistero cristiano per rafforzare la fede. Questa attenzione all’apologetica è andata però gradatamente spegnendosi, quasi fosse superfluo evidenziare il quadro razionale ed il clima storico-culturale dell’essere cristiano, dovendosi lasciare la fede alla pura opzione della libertà, senza altre preoccupazioni. Ne è nata però una adesione un po’ anemica ad un dono, la fede, che viene certamente dall’Alto, che va certamente richiesto e ricercato, ma che, insieme, va collegato ad un discorso razionale sul perché e sul senso del Tutto, mentre il come è abitualmente dominio della scienza. Oggi, tempo anche di ateismo conclamato e addirittura di rigurgiti di politeismo e di paganesimo, non si può prescindere da una recuperata e rinnovata apologetica, che risponda al vuoto e alla fame di significati dell’esistenza. L’apologetica, che faceva spazio un tempo anche agli aspetti carismatici della fede (miracoli, santi, profezie, apparizioni, esperienze mistiche…), parve un surrogato della fede, e si preferì parlare di Teologia fondamentale come introduzione alla ricerca teologica nel suo svolgersi storico e nei suoi procedimenti logici. Oggi però, in tempi di nuova evangelizzazione, sembra di nuovo necessaria, come può vedersi nelle moderne ricerche epistemologiche che consentono di tornare a parlare anche di “razionalità” della fede nella rivelazione divina, esaminata senza preconcetti o riduzionismi, sulla scorta della “logica aletica” che studia i criteri di base per l’accertamento della verità in ogni campo del sapere, mettendo a fuoco il problema della credibilità del testimone, fondamento della conoscenza per testimoni.
La Chiesa in questa ottica ha predisposto il Catechismo post-conciliare cattolico, che Papa Benedetto, nel documento Porta fidei, ha indicato come un “sussidio prezioso ed indispensabile” (n. 11), e che già Giovanni Paolo II considerava “strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e una norma sicura per l’insegnamento della fede”. Non è propriamente l’apologetica, ma nulla impedisce di recuperarla ulteriormente per “dare ragione della propria speranza” (1 Pietro 3,15), particolarmente in questo nostro tempo in cui “la fede si trova ad essere sottoposta, più che nel passato, ad una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità, la quale, particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche” (Porta fidei, 12). L’apologetica deve quindi ritrovare tutto il suo spazio per illustrare anzitutto la razionalità della fede nella Rivelazione, secondo la linea della troppo presto dimenticata Fides et ratio di Giovanni Paolo II, il quale presentava la fede e la ragione “come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità”. Ma è anche necessaria per sfatare la stolida diceria che la fede sia altra cosa rispetto alla ragione, o addirittura sia in opposizione alla ragione, e i credenti siano più creduloni che figli della verità. Diceva invece Emmanuel Lévinas, che “ciascun uomo è libero solo comprendendosi come costituito, scelto, donato, creato da un’originaria Trascendenza, esperita religiosamente quale Dio, ricercata in ogni autentico sapere umano come infinito”. Davvero “l’opzione cristiana è quella più razionale ed umana”.