“Il diritto di possedere e portare armi è essenziale per il funzionamento della nostra società libera”. Così era scritto nel programma elettorale di Mitt Romney, che proseguiva assicurando che come governatore Romney avrebbe “designato il 7 maggio ‘Giorno del diritto di portare armi’ in Massachusetts per onorare i cittadini rispettosi della legge e il loro diritto di ‘usare le armi da fuoco in difesa delle loro famiglie, persone e proprietà per tutti gli scopi leciti, inclusa la difesa comune’”. E continuava: “Da presidente, Mitt lavorerà per espandere e difendere questo diritto. Mitt Romney rivedrà l’implementazione del nuovo accordo di disarmo Start e le altre decisioni dell’amministrazione Obama riguardanti le armi nucleari e le politiche di controllo delle armi. Il presidente Obama è giunto al potere con un esercito in forte necessità di modernizzazione. Viceversa, invece di ricostruire la nostra forza, ha tagliato il budget della Difesa di 487 miliardi di dollari. Ma di più, ha proposto e trasformato in legge ulteriori tagli di 429 miliardi alla Difesa per i prossimi dieci anni. Romney comincerà il suo mandato abbattendo l’era Obama dei tagli alla Difesa, garantendo alle spese militari un minimo del 4% del Pil Usa. Nessuna discussione sulle politiche fiscali del presidente Obama sarebbe completa senza un riferimento all’‘Obamacare’ (la riforma sanitaria che estende l’accesso alle cure) e ai suoi 500 miliardi di spesa. Ogni volta che il presidente Obama parla della necessità di una maggiore raccolta fiscale, gli americani dovrebbero ricordare che egli ha già speso quelle risorse per una politica sanitaria immensamente distruttiva per l’economia. Nel suo primo giorno da presidente, Romney emetterà un ordine esecutivo che permetterà al Governo federale di limitare l’accesso all’‘Obamacare’ in tutti i cinquanta Stati e lavorerà quindi col Congresso per abrogare l’intera legislazione il più presto possibile”…
Buona giornata, mondo! L’incubo è passato. Barack Obama, sia pure con fatica, è stato rieletto alla presidenza degli Stati Uniti d’America e le promesse che avete appena letto, tratte dal programma ufficiale del candidato repubblicano Mitt Romney, verranno archiviate come propaganda elettorale superata. Abbiamo voluto ricopiare con cura alcuni brani della piattaforma repubblicana per dare l’idea di quale distanza esistesse non solo fra i due candidati, ma fra Mitt Romney e il resto del mondo. Pur con le mille contraddizioni che ogni giorno affrontiamo, la maggioranza del pianeta è impegnata nella ricerca di politiche che guardino all’applicazione dei diritti umani nel modo più ampio possibile. Sul piano interno la sfida è quella di trovare percorsi che favoriscano l’uscita dalla crisi economica garantendo la tutela sociale di chi è più vulnerabile. Su quello internazionale l’obiettivo è estendere a tutti, in modo sostenibile anche per le generazioni future, il benessere diffuso nei Paesi più ricchi, con una sfida per lo sviluppo sostenibile che diventa, attraverso il dialogo, costruzione concreta della pace. Come si può notare prospettive completamente altre rispetto alle parole di Romney. I suoi “impegni” avrebbero riproposto l’escalation militare, indebolito il già fragile Stato sociale americano e negato stimoli all’economia, alimentando di nuovo la crisi economica, e delegittimato l’idea di solidarietà e corresponsabilità – tanto cara dalla nostra parte dell’Atlantico – che la riforma sanitaria di Obama ha introdotto negli Usa. Le ricadute negative, economiche e politiche, sarebbero state pesanti per tutti, tranne per la élite di privilegiati che avrebbe beneficiato dei tagli fiscali promessi per i redditi più alti. Scampato il pericolo, ora sarà tutto più facile? No, Obama affronta il secondo mandato con un Parlamento ostile e una crisi economica non risolta, che gli è costata il calo elettorale. Non avere la preoccupazione di una rielezione, però, lo renderà più libero. Conteso tra idealismo e pragmatismo, l’Obama del primo mandato aveva creato attese che non ha saputo soddisfare. Ma quando si è mosso con libertà ha avuto successo. Questo è avvenuto, in particolare, con la riforma sanitaria, l’“Obamacare”, un passaggio storico per gli Usa. È stata la sua vittoria più importante, fortissimamente voluta, che gli è valsa da parte repubblicana un’enorme campagna negativa, con pubblicità che paragonavano il presidente a Hitler e la “Obamacare” alla “soluzione finale” per la salute dei cittadini del bilancio pubblico. In un clima delirante, anche più pesante di quello già inaccettabile creato in Italia con il “dossieraggio”, Obama non è sempre riuscito a tenere coeso il Paese. Ha comunque tenuto diritta la barra della sua amministrazione: in politica estera ha offerto uno stile diverso nel dialogo internazionale, soprattutto verso il mondo arabo, e ha portato a termine le missioni militari internazionali; in politica interna, accanto alla riforma sanitaria, ha promosso una politica keynesiana di stimolo per l’economia che ha dato frutti, sia pure non ancora sufficienti, soprattutto nell’importante settore automobilistico. I prossimi quattro anni, senza più la preoccupazione di piacere a tutti, potrebbero rivelarci l’Obama migliore, quello arricchito dall’esperienza ma ispirato dagli ideali. Che non sia l’occasione per dimostrare che il Nobel per la pace e i mille riconoscimenti che il mondo gli ha attribuito in questi quattro anni sono davvero meritati?