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Ma non si era pronosticato, trenta o quarant’anni fa, o ancor prima, che la religione avesse ormai le ore contate? Tutto portava a questa previsione. In certo modo, il grado di secolarizzazione della nostra società porterebbe a pensarlo ancor oggi. Eppure al recente “Cortile dei Gentili” in Assisi, il salone papale che ospitava il confronto su “Contemplazione e meditazione”, ambiente molto ampio e che normalmente stenta a riempirsi, non riusciva a contenere i partecipanti. Il moderatore, giornalista, abituato a misurare l’audience, quasi non credeva ai suoi occhi. In più, a rendere interessante la cosa, era il fatto che di contemplazione e meditazione non parlava solo un monaco come Enzo Bianchi, o un frate come padre Piemontese, ma anche un filosofo “laico” come Giorello. Che fenomeno è? È innanzitutto l’espressione di un bisogno. Un bisogno che viene da lontano, fa capo, anzi, alle radici dell’umano. Scultoreo, come sempre, sant’Agostino: “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”. Cambiano le epoche, ma fino a che l’uomo rimane uomo, pur dentro tutte le contraddizioni dell’umano, il bisogno dell’infinito emergerà sempre. La meditazione e la contemplazione sono due espressioni di questo bisogno. Dopo che la vita ti ha “stressato” con le sue mille seduzioni, e talvolta con le sue mille banalità, senti il bisogno di qualcosa che vada oltre, che dica l’Oltre. E allora ti fermi, torni a te stesso, e dentro di te ascolti una voce che sa di Mistero. Se hai fede, lo chiami “Dio”. Se la fede non ce l’hai – ma tra credente e non credente non è poi così facile tracciare il confine – ne sentirai forse la nostalgia. Per questo, negli svariati paesaggi del “revival” religioso della nostra epoca, si può notare il riemergere del bisogno di meditare e contemplare. Il vociare diventa sempre più insopportabile: inquinamento insieme acustico e spirituale. Si ha bisogno di far “silenzio” intorno a sé e dentro di sé. Ancora sant’Agostino, lamentando il ritardo del suo incontro con Dio, si rivolgeva a lui così: “Tu eri dentro di me, ma io ero fuori!”.
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Non sorprende che si senta, oggi, un diffuso bisogno di tornare all’essenziale, di aprire lo sguardo sull’orizzonte del Divino. Su questo, da diversi angoli visuali, si è discusso al “Cortile dei gentili”. E tante cose, anche in tema di meditazione e contemplazione, sono apparse condivise. Occorre tuttavia saper discernere. Nel 1989 la Congregazione per la dottrina della fede emanò un documento, in cui si metteva a fuoco lo specifico della meditazione cristiana, invitando a riscoprirne le migliori pratiche e a non farsi suggestionare da metodiche che, pur rispettabili, portano il segno di una diversa concezione del mondo. Il cristiano, quanto meno, deve sapere che meditare e contemplare non si riduce a un esercizio di tecnica mentale, o di sola concentrazione sul “sé”. Si tratta piuttosto di lasciarsi incontrare da Dio, facendogli spazio. A partire dalla sua Parola, che si è “fatta carne”. Si scopre allora che il Dio invisibile, “sconosciuto” perché più alto di tutti i nostri pensieri, è in realtà un Dio vicino. Dalla contemplazione cristiana non deriva distrazione e sopore, rispetto ai problemi del mondo (altro che la religione “oppio dei popoli”!), ma una nuova energia per affrontarli e risolverli. Il Dio cristiano, quello che Gesù rivela nella sua stessa persona, è il Dio della storia. Contemplarlo è anche battersi per un mondo migliore.