Ancora un fiore sulla sua tomba

Anch’io voglio deporre un fiore sulla tomba dell’amatissimo card. Martini.

Quando, sullo scorcio del 1979, venne eletto arcivescovo di Milano in pectore, invece del consueto corso di esercizi spirituali in preparazione al grande passo, volle lavorare una settimana in un campo di lavoro a Capodarco, dove nessuno lo conosceva.

A Capodarco strinse amicizia con Rosaria Pugliese, in qualità di suo aiutante nella pelatura della montagna di patate che ogni giorno uscivano ilari e rotondette dall’enorme pentola piazzata subito fuori della cucina, nel frustrante tentativo di saziare la robusta fame delle decine e decine di ragazzi che lavoravano gratuitamente da mane a sera. Lui fisicamente imponente, culturalmente dottissimo: come preside dell’Istituto biblico firmava i documenti che attestavano il conferimento a pochi eletti della rarissima laurea in Scienze bibliche. Lei piccolina e bruttarella, epilettica, aveva dato gli esami di terza media ed era stata bocciata perché alla domanda: “Chi sono i nomadi?” aveva risposto: “Un complesso musicale”.

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Nei primi anni Novanta venne da noi, a San Girolamo, Roberto Briolotti, giovane milanese che voleva farsi prete, ma soffriva di una fortissima forma di spasticità: parlava con grande fatica, e tuttavia con un minimo di allenamento si riusciva a capirlo. Era invece totalmente scoordinato il movimento dei suoi arti: bisognava imboccarlo; beveva solo con la cannuccia. Brillantemente laureato in Teologia, anche se l’articolo del Codice di diritto canonico che vietava ai disabili l’ordinazione sacerdotale era stato abolito, come mai il card. Martini anni prima non aveva volto ordinarlo prete? Il vescovo Bottaccioli glielo chiese di persona, a Collevalenza, e restò strabiliato: di Roberto Briolotti, della sua personale situazione, di quell’episodio di anni prima Martini sapeva tutto, ma proprio tutto.

Un ottimo esempio di attenzione selettiva? Carlo Maria Martini, da vero discepolo del Signore, si ricordava degli ultimi più di chiunque altro, anche con una diocesi di 3 milioni di anime sulle spalle. E se non lo aveva ordinato era perché non riusciva a immaginare per lui un adeguato spazio di apostolato: dove e come avrebbe esercitato le sue facoltà di prete? La residenza di San Girolamo poteva garantirgli quello che Milano non gli consentiva. Oggi don Roberto Briolotti è cappellano in una casa per disabili di Pavia.

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Due giorni prima di quello in cui inaugurò la “mia” Comunità di San Girolamo, 20 anni or sono, aveva assistito Eugenio Montale in punto di morte. “Che uomo era, monsignore?”. Mi fissò con i suoi occhi chiari e profondi: “Gliene parlerò!”. È una promessa. Cardinale Martini, rimane una promessa di un grande uomo di Chiesa ad un piccolo prete di provincia. Sì, avrò risposta, a suo tempo.

AUTORE: Angelo M. Fanucci