Il cerimoniale è stato quello consueto, ma molti segni ed elementi dicono che il 693’Anno accademico dell’Università degli studi di Perugia, appena inaugurato, sarà diverso dai precedenti. E non solo perché coincide con l’inizio del mandato triennale del nuovo Magnifico Rettore prof. Francesco Bistoni. E’ la realtà concreta posta dal realizzarsi dell’autonomia che impone tensioni e prospettive diverse. Consueto ed ampiamente conosciuto il succedersi dei momenti rituali, ma novità e tensioni inedite nei contenuti, nei messaggi, nelle prospettive. Molto partecipata la celebrazione eucaristica (arricchita dai canti del Coro dell’Università diretto dal maestro Salvatore Silivestro), presieduta dall’arcivescovo mons. Giuseppe Chiaretti, che nella omelia ha posto l’accento sul tema sempre più attuale di un indispensabile dialogo, aperto e rispettoso, tra cultura cattolica e laica. Poi tutti nell’ Aula Magna gremita per ascoltare il Rettore, il presidente del Consiglio Giuliano Amato, la prolusione del prof. Filippo Coarelli della Facoltà di Lettere e filosofia, nonché gli interventi di Simone Gallai presidente del Consiglio degli studenti, di Paolo Dini (consigliere di Amministrazione) per il personale tecnico, amministrativo e bibliotecario. C’erano la Presidente della Regione Maria Rita Lorenzetti, con consiglieri ed assessori regionali (tra cui Maurizio Rossi assessore alla Sanità), il presidente della Provincia di Perugia Giulio Cozzari, i sindaci di Perugia Renato Locchi e di Terni Paolo Raffaelli, le più alte autorità civili e militari. Ha colpito il realismo, anche terminologico, con cui Bistoni ha enucleato e proposto i problemi che l’Ateneo di Perugia, come tutto il sistema universitario nazionale, si trova ad affrontare nella fase più critica del processo di autonomia avviato nel 1989 dalla legge n. 168, reso operante dal 1993, entrato ora nella fase decisiva. Inevitabile il “pianto” su risorse finanziarie ed umane insufficienti, ma chiaro anche il richiamo all’Università di attivarsi, nei suoi gangli vitali con una “produzione di saperi e tecniche” che sappiamo individuare e determinare altre “fonti di sostentamento”. “Se l’Università – ha detto Bistoni – è quello che tutti dicono e cioè una risorsa della Regione, va da sé che i governi della Regione, delle province, dei comuni, il mondo imprenditoriale, il sistema bancario, le fondazioni non possono negare una collaborazione concreta …”. Ha detto anche il Rettore che l’Università farà la propria parte, nelle diverse componenti, per offrire il “servizio” che l’ è proprio e per operare “scelte consapevoli, con l’introduzione di adeguati metodi e criteri di valutazione di tutte le attività universitarie” per migliorare la propria offerta di servizi. “Sarebbe impossibile, peraltro, – ha aggiunto il Rettore – utilizzare al meglio le scarse risorse finanziarie ed umane senza le regole del merito, della responsabilità, della professionalità”. Bistoni è stato tutt’altro che accomodante con il tentativo che atenei di grandi e piccole dimensioni starebbero operando per una “occupazione dell’Umbria”, alimentando spinte che non potrebbero avere un futuro. Su questo tema il rettore ha trovato l’appoggio convinto del presidente del Consiglio degli studenti Gallai (“dislocare i percorsi didattici in sedi senza servizi, senza strutture, senza cultura universitaria, contraddice quella trasmissione di cultura del sapere che è caratteristica di una comunità universitaria”). Su questo particolare aspetto critica la reazione del sindaco di Terni Paolo Raffaelli, che ha rivendicato il diritto della sua città ad aprirsi ad altre “offerte”. “Qualora l’Ateneo di Perugia nelle sue diverse componenti pensi al proprio futuro come Università cittadina, anziché regionale”. Inevitabile e dovuto un richiamo molto atteso sulla questione del Polo unico ospedaliero a Sant’Andrea, che ha costituito uno dei cardini del programma elettorale di Bistoni. Un dato inquietante, anche per le penalizzazioni che determina in fase di distribuzione di risorse da parte dello Stato, è quello relativo agli studenti fuori corso (il 40% degli iscritti). Se ci si interroga sulle cause può apparire inevitabile una analisi critica della offerta didattica e delle metodologie per realizzarla. Il numero degli iscritti per ora tiene (31.276, di cui 10.888 provenienti da altre regioni nel 1999/2000). Il presidente del Consiglio Amato, sulla richiesta di maggiori fondi ha dato una risposta abbastanza dura e tagliente: “Se l’Università sa proporre progetti di ricerca credibili e seri, finanziamenti possono arrivare da varie fonti pubbliche, non ultimi i 2.600 miliardi provenienti dalla gara Umst per le licenze telefoniche e che saranno destinati alla ricerca scientifica”. Il presidente Amato, dopo un breve cenno ai suoi trascorsi accademici perugini (nel 1969 fu chiamato dalla Facoltà di Giurisprudenza a coprire la cattedra di Diritto pubblico e costituzionale) ha avuto parole non certo lusinghiere sui risultati della riforma dell’Università e soprattutto su quella della docenza avviata dai decreti delegati del 1980. Ha lamentato la scarsa selettività, che ha avuto l’effetto di “togliere spazio ai giovani desiderosi e capaci di emergere”. La massiccia immissione in cattedra avrebbe – a suo parere – deprezzato se non emarginati i meriti. Di questo fenomeno l’Università starebbe pagando pesanti conseguenze. Il livello culturale negli atenei sarebbe sceso con ripercussioni inevitabili sulla qualità della formazione offerta. “Gli eserciti non possono essere specializzati, se i generali non sono specialisti” ha aggiunto con ironia il Presidente.
Inaugurato alla presenza del Presidente del Consiglio il nuovo Anno accademico
L'Università degli Studi: grande risorsa della regione
AUTORE:
Gianni Fabi